mercoledì 31 ottobre 2007

"Dopo Prodi", il 57% vuole le elezioniPd, l'alleato preferito è Di Pietro

da "Repubblica" del 30 ottobre 2007

L'Idv piace a 7 democratici su 10, la sinistra radicale a 5. Solo 3 approvano il rapporto con l'Udeur e molti preferirebbero


Nuove elezioni: è questa la soluzione preferita dagli italiani in caso di caduta del governo. La fragilità della maggioranza, al Senato, e i conflitti che animano la coalizione rendono la tenuta dell'esecutivo una questione sempre attuale. Per questo, una indagine Demos-Eurisko ha sondato, per "la Repubblica", le preferenze degli elettori rispetto ai diversi scenari del "dopo-Prodi". Gli orientamenti degli intervistati delineano una situazione fluida circa la geometria delle alleanze e gli stessi confini degli schieramenti. In particolare, gli elettori del neonato Pd confermano il patto con le forze della sinistra radicale e con l'Italia dei Valori di Di Pietro.

Più difficile appare oggi il rapporto con l'Udeur, tanto che quasi un elettore su due, pur respingendo l'ipotesi di una "grande coalizione", vede con favore una futura intesa con l'Udc di Casini. Il dopo Prodi. Un governo di larghe intese è la soluzione preferita dal 16% degli intervistati. Un nuovo governo di centrosinistra, invece, è visto con favore dal 13%, ma questa percentuale sale fino al 31% tra gli elettori dell'Unione e coinvolge oltre un elettore su tre del Partito Democratico. Tuttavia, la soluzione preferita dall'opinione pubblica è il ricorso alle urne (57%). Questo dato tocca la sua punta massima proprio tra gli elettori di centrodestra (73%), mentre più contenuta (42%) è la quota tra coloro che dichiarano il proprio voto per l'Unione, in generale (e il Pd, in particolare: 40%). La prospettiva di elezioni anticipate (o di un nuovo governo) rende interessante comprendere se e in che modo muteranno gli attuali assetti dell'Unione e della CdL. In particolare, per un partito "nuovo", come quello di Veltroni, si apre la questione delle alleanze "possibili". Il sondaggio ha indagato quali forze siano maggiormente gradite dall'elettorato del Pd in un'ottica di coalizione.
Le alleanze del Partito Democratico. L'Italia dei Valori di Di Pietro è "scelta" come alleato da sette elettori del Pd su dieci. Seguono le forze della Sinistra (Rifondazione Comunista, i Verdi, il Pdci) che un elettore del Pd su due vede come possibili partner. L'elettorato del Pd, dunque, si presenta aperto rispetto alle formazioni che compongono l'attuale maggioranza di governo: l'unica eccezione, in questo senso, sembra riguardare l'Udeur. Appena il 29% confermerebbe l'intesa con il partito del Guardasigilli, cui viene preferita l'alleanza con l'Udc di Casini. Ben il 46% degli intervistati si dice pronto, infatti, a rivedere la maggioranza uscita dal voto del 2006, superando, al centro, l'attuale perimetro dell'Unione. Solo una piccola componente, invece, immagina intese ancora più "larghe": l'8% "aprirebbe a Forza Italia e appena il 3% alla Lega Nord. Va sottolineato, allo stesso tempo, come una componente non trascurabile, fra i "democratici", ribadisca la vocazione "maggioritaria" del partito: il 38%, infatti, sarebbe disponibile a sostenere una competizione elettorale solitaria, senza concludere alleanze "preventive". La prospettiva degli alleati. La stessa questione, infine, è stata affrontata dal punto di vista degli attuali partner del Pd, rilevando come i loro sostenitori valutino le possibili alleanze della formazione guidata da Veltroni. Rispetto al totale dell'elettorato dell'Unione, la Sinistra Radicale si orientata maggiormente verso una conferma dell'attuale alleanza di governo, anche se con una "sostituzione al centro" tra Udc e Udeur. Anche fra coloro che destinano il proprio voto agli "altri partiti" del centro-sinistra, le preferenze rispondono ad una logica di riedizione dell'attuale maggioranza, sebbene anche in questo segmento la difficile "coabitazione" con l'Udeur sembri richiamare le tensioni di questi giorni.

Monaci di nuovo in strada in Birmania

dal "Corriere" del 30 ottobre 2007

Manifestazione di un centinaio di religiosi nel nord del paese. Giunta sotto accusa: «arruola i bambini»

RANGOON - Per la prima volta, dopo le violente repressioni delle manifestazioni anti-governative dello scorso mese, un centinaio di monaci buddisti è sceso di nuovo in strada, intonando canti, nel nord della Birmania. I monaci, che hanno sfilato recitando preghiere per circa un’ora, sono partiti dalla pagoda Shwegu, a Pakokku, un centro con oltre 80 monasteri, che si trova a oltre 600 chilometri a nord ovest di Rangoon. La manifestazione si è svolta senza incidenti, hanno detto due monaci contattati telefonicamente, che hanno parlato in condizione di anonimato.
«BAMBINI ARRUOLATI NELL'ESERCITO» L'’organizzazione americana per la difesa dei diritti dell’uomo Human Rights Watch (Hrw) ha accusato la giunta militare birmana di arruolare bambini nelle sue forze armate. Secondo Hrw, i reclutatori del governo arruolano i bambini a causa del «continuo ampliamento dell’esercito, l’elevato tasso di diserzione e la mancanza di volontari». «I reclutatori militari e i mediatori civili ricevono pagamenti in contanti e altri incentivi per ogni nuova recluta, anche se il reclutamento viola palesemente l’età minima o i criteri di salute», dice Hrw nel suo rapporto di 135 pagine.
NUOVA MISSIONE ONU - L'inviato speciale delle Nazioni Unite per la Birmania, Ibrahim Gambari, compirà la sua seconda missione birmana a partire dal prossimo fine settimana, dal 3 all'8 novembre, secondo quanto rivelano fonti diplomatiche occidentali a Rangoon.

domenica 28 ottobre 2007

L’anomalia oggi non sono il Pd e Forza Italia ma tutti gli altri partiti

da "Il Foglio" del 27 ottobre 2007

Per Rusconi in Italia manca il carisma delle istituzioni. Per Gualtieri, partito senza tessere uguale partito senza voti

Roma. Oggi si riunisce per la prima volta l’assemblea costituente del Partito democratico. Una nuova forza politica dal nome americano e dalla gestazione un po’ sudamericana, con 2.800 costituenti eletti su liste bloccate e qualche confusione nel calcolo dei voti e nell’assegnazione dei seggi (più che comprensibile, peraltro, vista la mole dell’assemblea e la complessità del sistema elettorale). Del resto, un po’ americano e un po’ sudamericano è anche l’altro grande protagonista del nostro sistema politico: Forza Italia. La novità e l’anomalia della situazione salta agli occhi. In tutta Europa i due principali partiti si chiamano socialisti e popolari (o laburisti e conservatori). “L’anomalia non sta nel Partito democratico, né in Forza Italia, ma nel permanere di tutti gli altri, e nel proliferare dei micropartiti personali”, dice lo storico Gian Enrico Rusconi. “Se il Partito democratico sarà veramente un partito, e se sarà anche veramente democratico – dice Roberto Gualtieri, che oltre a essere uno storico è anche membro della costituente del Pd – allora vuol dire che in Europa ci stiamo tornando, non che ce ne stiamo allontanando”. Novità o anomalia del sistema politico italiano, la nascita del Partito democratico dovrebbe aprire una “nuova stagione”, secondo il felice slogan veltroniano, che è anche una delle poche cose su cui nel Pd sono tutti d’accordo. Ma aprire una nuova stagione, se le parole hanno un senso, comporta chiuderne un’altra, e su questo a essere d’accordo sono molti di meno. Soprattutto, a quanto pare, su quale sia la stagione da chiudere: quella del bipolarismo rissoso e delle coalizioni eterogenee (come ha detto Walter Veltroni parlando di “partito a vocazione maggioritaria”) o invece, ancora, la vecchia stagione dei partiti, con le loro correnti, le loro dinamiche, i loro pacchetti di tessere? La proposta del Foglio di un “partito senza tessere” ha raccolto molti autorevoli consensi, da Francesco Rutelli a Dario Franceschini, e lo stesso Veltroni si è detto molto interessato. Ma subito sono arrivati i distinguo, e anche il netto rifiuto di chi, come Pierluigi Bersani, non vuole “un partito liquido”. Probabile, dunque, che i costituenti si orientino sulla solita via di mezzo. “Il partito facciamolo moderno finché si vuole, ma purché sia tutti i giorni in tutti i luoghi – ha detto per esempio Bersani a Otto e Mezzo – altrimenti chi è che decide, il leader da solo?”. Non basta l’investitura del leader Un giudizio simile viene da Gualtieri, convinto che la costituente non potrà ridursi “all’investitura plebiscitaria di un leader, che poi magari dovrebbe ‘fuggire col malloppo’, assumendo il controllo totalitario del Pd e costruendo un partito senza aderenti, senza correnti, senza niente”. Ipotesi che non può affascinare il neosegretario, sostiene Gualtieri, perché condurrebbe a “un partito non solo senza tessere, ma soprattutto senza voti, destinato a durare ben poco”. Il problema, osserva Rusconi, sta nell’impropria “identificazione di americanismo e veltronismo, che sono due cose diverse”. Il veltronismo sarebbe una sorta di aspirazione “letteraria” al modello americano, ma “senza le basi istituzionali, politiche e culturali di quel modello”. Personalizzazione e approssimazione. Colpa, s’intende, più dell’informazione che di Veltroni. “Negli altri paesi, a partire dall’America – spiega Rusconi – c’è qualcosa che potremmo chiamare ‘carisma delle istituzioni’, per cui il presidente degli Stati Uniti è sempre il presidente, chiunque egli sia. E questo è un grande fattore di stabilità. In Italia, invece, il carisma è solo personale. Tentiamo di dare quest’aura almeno al Quirinale, ma con qualche fatica”. Anche questo, probabilmente, è alla base dell’anomalia italiana. “In tutti o quasi tutti i paesi europei la fine della Guerra fredda ha costretto i sistemi politici a rimodellarsi. Ma è come se in Italia ci fosse una particolare refrattarietà, che rende questo processo sempre incompiuto”. La ragione dell’anomalia italiana è semplice, dice Gualtieri, ed è che in Italia “tutti i grandi partiti sono crollati tra il 1991 e il 1993”. Dopodiché, condizione per uscire dal limbo di questi anni è “un sistema come quello tedesco, fatto di pochi grandi partiti chiamati a confrontarsi in una competizione virtuosa sulla soluzione dei problemi, e non a contrapporsi su schemi ideologici, in un bipolarismo rissoso e confuso perché definito solo per opposizione, in un’eterna e stucchevole guerricciola tra anticomunisti e antiberlusconiani”.

sabato 27 ottobre 2007

L’Italia scopre che i salari sono bassi

da "Il Riformista" del 27 ottobre 2007

In una situazione di caos come quella che sta caratterizzando la vita politica (e non solo quella) del nostro paese, faremmo tutti bene a dare ascolto agli «allarmi» che arrivano dai pulpiti più autorevoli. La premessa serve per spiegare che su un monito del governatore della Banca d’Italia Mario Draghi si deve ragionare a fondo e non parlarne per un giorno e poi far finta di nulla. Ieri, intervenendo all’Università degli studi di Torino, Draghi si è soffermato sui salari. Evidenziando, parole sue, che i livelli retributivi dell’Italia «sono più bassi che negli altri principali paesi dell’Unione europea». Il governatore di Bankitalia è poi entrato nel dettaglio. Rilevando che «le differenze salariali rispetto agli altri paesi sono appena più contenute per i giovani, si ampliano per le classi centrali di età e tendono ad annullarsi per i lavoratori più anziani. Il differenziale è minore nelle occupazioni manuali e meno qualificate». Il dossier sulle retribuzioni è decisivo, soprattutto per i destini del governo. Se nell’ultimo anno non si fosse discusso delle tasche degli italiani, probabilmente (anzi, sicuramente) lo stato di precarietà dell’esecutivo e della maggioranza non sarebbero a questo livello. Anche per questo, l’intervento di ieri di Draghi ha avuto una vasta eco. Basti pensare che sul monito dell’inquilino di palazzo Koch si sono trovati d’accordo tanto il ministro rifondatore Paolo Ferrero («Notazione giusta») quanto il forzista Maurizio Sacconi («Parole sante»). Ci voleva l’autorevole monito del numero uno di via Nazionale perché la politica riuscisse a metabolizzare una verità incontrovertibile? In fondo, rimane un sospetto: le parole di Draghi alimenteranno i servizi di tg e giornali ma da lunedì tutto tornerà come prima. Anche perché, per lunedì, Ferrero e Sacconi sono attesi agli altri round dello scontro infinito tra governo e opposizione. Con i salari italiani che, complici l’incertezza e l’instabilità del quadro politico, rimarranno quelli che sono. E cioè tra i più bassi d’Europa.

giovedì 25 ottobre 2007

Prodi: «Esigo il rispetto degli impegni»

da "Corriere della Sera" del 25 ottobre 2007

Il premier agli alleati dopo le divisioni in Senato: «Le forze di maggioranza dicano se sostengono il governo»

ROMA - Un duro richiamo. In diretta televisiva. Dopo il giovedì terribile della maggioranza (quattro ko in Senato sul decreto fiscale collegato alla Finanziaria), Romano Prodi scende nella sala stampa di Palazzo Chigi e in un breve discorso trasmesso dal Tg3 lancia agli alleati quello che suona come un vero e proprio ultimatum: «Esigo il rispetto degli impegni».
IL BREVE DISCORSO - L'espressione del premier è quella dei momenti difficili. «Il nostro Governo - attacca Prodi - ha proposto all'approvazione del Parlamento una serie di importanti provvedimenti: il decreto fiscale, la legge finanziaria, le misure in favore dei più poveri, l'aumento delle pensioni più basse, le politiche per la casa, le pensioni e le politiche contro la precarietà. Contemporaneamente - ha proseguito Prodi - il Governo ha svolto una azione di stimolo verso il Parlamento per avviare la discussione sulle riforme istituzionali e sulla legge elettorale. Noi abbiamo fatto tutto questo per rilanciare l'economia e per portare un po' di equità nella società italiana». A questo punto arriva l'analisi di quanto avvenuto a Palazzo Madama: «La maggioranza che sostiene il Governo si è divisa al momento del voto non sull'impianto di
Romano Prodi (Emblema)queste grandi proposte, ma su fatti particolari, mettendo a rischio la realizzazione delle indispensabili riforme». Ed ecco l'affondo: «È giunto il momento che tutte le forze politiche della maggioranza dicano chiaramente se intendono continuare a sostenere il Governo o se vogliono invece far prevalere gli interessi di parte su quelli del Paese. Non pongo oggi il voto di fiducia, ma esigo che le forze politiche della maggioranza rispettino gli impegni che esse hanno assunto di fronte ai cittadini. Questo è quanto comunicherò nelle prossime ore a tutti i partiti della maggioranza». VELTRONI: SONO D'ACCORDO - Passano pochi minuti e le agenzie battono la prima reazione al discorso di Prodi: è quella di Walter Veltroni. «Concordo pienamente con il tono ed il contenuto dell'appello del presidente del Consiglio - afferma il leader del Partito Democratico -. Il Paese ha bisogno del massimo di solidità della maggioranza per rafforzare l'azione del governo. Questo è il primo impegno del Pd». A stretto giro di posta Prodi incassa anche il sostegno del segretario dei Ds, Piero Fassino, del leader della Margherita, Francesco Rutelli, e del ministro dell'Ambiente, Alfonso Pecoraro Scanio: «Condividiamo le parole di Prodi». Per Rifondazione Comunista, «il richiamo al rispetto degli impegni da parte della maggioranza deve valere per tutti». «E gli impegni - spiega il presidente dei deputati del Prc, Gennaro Migliore - sono l'applicazione della linea dettata dal programma». IDV E UDEUR - E l'Italia dei Valori, che in Senato ha votato con l'opposizione? Antonio di Pietro spiega che l'obiettivo dell'IdV è quello di «rafforzare il governo, non farlo cadere». Ma questo si può fare solo «realizzando impegni concreti» ed evitando la «politica dei veti» che la sinistra vuole imporre «spinta da furore ideologico». Il ministro delle Infrastrutture, in particolare, torna a spiegare le ragioni del voto dei senatori di Idv in Senato (salvo Franca Rame) contro l'emendamento che prevede la liquidazione della società "Ponte Stretto di Messina". «Noi - spiega - non abbiamo votato con il centrodestra, ma ci siamo espressi per ripristinare il testo originario del decreto, come era uscito dal Consiglio dei ministri. Per questa coerenza Prodi dovrebbe ringraziarci perché dà credibilità all'azione del governo». Anche quelli dell'Udeur (protagonisti nelle ultime settimane di aspre polemiche proprio con Di Pietro e l'IdV per il caso Mastella-De Magistris) affermano di non avere nulla da rimproverarsi: «Sottoscriviamo l’appello di Prodi - dice Mauro Fabris, capogruppo del Campanile alla Camer - e lo accogliamo in toto. Ma noi abbiamo dimostrato di essere leali, non abbiamo nulla da rimproverarci. L'appello non è rivolto all'Udeur». E Clemente Mastella aggiunge, sibillino: « «Prodi ha fatto bene a parlare. Si è rivolto a uno solo. Uno che non ha mai cambiato mestiere...».

Il loft, il red carpet, la convention

da "Il Foglio" del 25 ottobre 2007

Il Pd è un fatto nuovo? Ecco una domanda abbastanza significativa

Se due partiti che vengono da tradizioni mammuth come quella comunista e quella democristiana copulano per generare un figlio diverso dai genitori, un bebè non clonato che dovrà crescere e godere di vita propria in base a cromosomi nuovi; se vengono assistiti da tre milioni e mezzo di levatrici festanti, paganti e beneauguranti, in una specie di fecondazione a caldo; se scelgono un nome americano, Partito democratico, e discutono laicamente della possibilità di un partito senza tessere e congressi; se il tutore del piccolo non è un amministratore unico di ceppo togliattiano o dossettiano ma un profeta della bella politica de’ noantri, sindaco di Roma e americano a Roma, attualmente impegnatissimo nei riti del red carpet con Tom Cruise e Robert Redford; se la culla del partito è un loft, lo spazio simbolico più lontano possibile dai corridoi di Palazzo Sturzo e dagli antri cavernosi delle Botteghe Oscure; se l’assemblea costituente che terrà a battesimo statutario la creatura è composta di 2800 persone, giusto il numero di una convention a Las Vegas, dove la regia è tutto, i coriandoli sono tutto, la tv è quasi tutto, e il dibattito ideologico e politico quasi niente, perché prende altre vie e si esprime nel retroterra sociale e nelle istituzioni; se tutto questo è vero, se tutto questo si è dispiegato in effetti sotto i nostri occhi, sarà ben legittimo domandarsi se sia nato oppure no un nuovo fenomeno politico, paragonabile per analogia e opposizione, non per omologia, al fenomeno Berlusconi che da oltre un decennio ha sconvolto le regole della vecchia democrazia dei partiti nei modi che sappiamo? La risposta è affidata secondo noi a due elementi caratterizzanti, a due evidenze. La prima è che questo Partito democratico mantenga quel che ha promesso, una forma politica imperniata sulla cittadinanza e non sulla militanza, sulla società e non sul corpo politico strutturato alla stregua delle vecchie organizzazioni identitarie, con tessere e congressi, e sia quindi un partito che si limita (già un vaste programme) alla selezione della classe dirigente per la guida delle istituzioni, una macchina per elezioni (compresa la raccolta dei soldi e il raccordo di movimenti e aggregazioni politiche e sociali di riferimento). La seconda evidenza, che dimostrerebbe la nascita di qualcosa di nuovo, è che questo partito abbia una effettiva vocazione maggioritaria e non vada alle elezioni in una lista unionista comprendente il partito di Mastella, quello di Di Pietro, quello di Giordano, quello di Diliberto, quello di Pecoraro Scanio eccetera. Se il Partito democratico si rivelasse una macchina per congressi e una riedizione della coalizione unionista, vorrà dire che abbiamo scherzato, e che W. passeggerà su un black carpet, conterà tessere, e si sentirà molto solo e al freddo nel grande loft che si è appena apparecchiato.

Silvio: battuto sulla Rai,per Romano è finita

da "La Stampa" del 25 ottobre 2007


ROMAProbabilmente l’immagine offerta dal ministro Clemente Mastella sul governo, quella della Beirut dei bombardamenti e delle bombe, è la più azzeccata. Ogni giorno c’è un episodio che dimostra quanto l’attuale quadro politico sia inadeguato e quanto Romano Prodi inerme. Ieri mattina Silvio Berlusconi mettendo in atto la sua strategia del «logoramento» prima del colpo finale, ha dato il via libera alla mozione di sfiducia al Cda Rai. «L’importante - è l’indicazione che ha dato al fido Paolo Bonaiuti - è dimostrare che questo governo è in agonia. E la “sfiducia” al Cda della Rai, aldilà delle conseguenze, è un altro elemento, un altro tassello di questa strategia». Nelle stesse ore Romano Prodi ha tentato in tutti i modi di convincere Verdi, Rosa nel pugno, dipietristi e mastelliani a ritirare le mozioni di sfiducia al vertice Rai sulle quali ci sarebbe stata la convergenza dei voti del centro-destra. Il Professore ha usato, ovviamente, l’argomento opposto del Cavaliere. «In questa vicenda - ha spiegato - non è in gioco il Cda Rai, quanto l’immagine del governo. Se non le ritirate fate un piacere a Berlusconi». Un tentativo vano. O meglio, alla fine solo i Verdi hanno assecondato il premier. Gli altri sono rimasti fermi sulle loro posizioni. Così l’immagine della maggioranza che abbandona la commissione Rai per non essere battuta è diventata parte dell’album di fotografie sulla fine del governo del Professore. «E’ l’anticipo - è stato il commento del veltroniano Giulietti - di quello che avverrà in Parlamento». Appunto, Romano Prodi dà l’idea del premier asserragliato nell’ultima casamatta di Beirut. Al Senato la maggioranza traballa e si salva solo grazie al voto di Giulio Andreotti. Il Consiglio dei ministri non riesce a produrre uno straccio di provvedimento sulla sicurezza. Ci mancava solo la polemica tra il premier e il presidente della Camera, Fausto Bertinotti, colpevole di aver ipotizzato un altro governo per fare la riforma elettorale. Quindi, di tutto e di più. Da una parte c’è un Professore che annaspa. Dall’altra c’è un Cavaliere che fa di tutto per mostrarsi sicuro. A palazzo Grazioli l’ex-presidente della Regione Puglia, Raffaele Fitto, si è trovato di fronte un personaggio arciconvinto. «Se metti in dubbio che si voterà a primavera - racconta - Berlusconi si incazza. Ha sulla scrivania uno schema di nomi e accanto l’elenco di tutti i senatori. Per lui dai sei agli otto sono già pronti a buttar giù Prodi. Ci mette la mano sul fuoco. Un’altra decina, invece, li considera possibili. C’è anche un ds. A sentire la Biancofiore, ad esempio, le trattative con quelli della Svp già sono molto avanti. Lo “showdown” non è previsto nelle votazioni di questi giorni al Senato. “Sarebbe del tutto inutile - mi ha spiegato il capo - mandare sotto il governo adesso perché non ci sarebbe la crisi, ma si limiterebbero a presentare un altro decreto”. Le danze si apriranno, invece, sulle votazioni sulle pregiudiziali di costituzionalità sulla Finanziaria e andranno avanti per buona parte del mese di novembre. E se c’è la crisi ci saranno pure le elezioni. Chi manda giù Prodi con il suo voto e si rifiuta di aprire la strada al voto rischia, infatti, di diventare un senza casa. Non avrebbe più asilo né nel centro-sinistra, né da noi». Se il piano del Cavaliere è fin troppo chiaro, quello del Professore è alquanto confuso. Naturalmente nelle prossime settimane Prodi continuerà a drammatizzare, ad additare i senatori della maggioranza che potrebbero mandarlo sotto come dei Giuda. «Questo governo - continua a ripetere - può cadere solo per corruzione». Contemporaneamente pensa di rabbonire l’aula di Palazzo Madama aprendo i cordoni della borsa sulla Finanziaria. «Dopo tanti anni - prevede Giulio Tremonti - è la prima finanziaria in stile Pomicino. Invece di ridurre il deficit lo allarga, siamo passati dall’1,8% al 2,4%». Infine c’è l’ultima mossa, quella caldeggiata dalla trimurti istituzionale Napolitano-Marini-Bertinotti. L’apertura a una riforma elettorale sul modello tedesco per lanciare un ponte verso l’Udc e la Lega. Un’ipotesi ad alto rischio per Prodi, visto che gira che ti rigira la sua «testa» potrebbe finire nella trattativa. Inoltre un’«operazione» del genere, con o senza Prodi, per partire ha bisogno dell’ok dell’Udc. Può permettersi un’operazione del genere Casini? Certo da una parte ha la possibilità di far saltare il «bipolarismo» e mettere in piedi un terzo polo. Dall’altra corre il rischio di arrivare indebolito all’appuntamento tanto agognato: ora i sondaggi danno l’Udc dal 4,2 al 3,5%, una conseguenza del dialogo con il centro-sinistra e con un governo impopolare. Un’alleanza più o meno camuffata degli ex-dc con il centro-sinistra per un governo che apra la strada al modello tedesco, gli costerebbe nuove perdite. C’è il rischio che Casini arrivi all’operazione terzo Polo con una legge adatta ma senza voti. Un bel rischio. Forse troppo alto se si pensa che andando al voto ora l’Udc avrebbe buone possibilità di tornare al governo e magari il suo leader potrebbe cimentarsi nel ruolo di ministro degli Esteri. In quella posizione potrebbe recuperare forze, attrarre nella sua orbita i cattolici dell’Ulivo delusi dal Pd e magari rinviare l’appuntamento con il tedesco al «dopo-voto». «Noi - spiega sicuro Luciano Ciocchetti, che conosce la pancia dell’Udc - non entreremo mai in un governo istituzionale senza Berlusconi». E’ quello su cui punta il Cavaliere che ieri ha inviato il suo ambasciatore per antonomasia, Gianni Letta, da Casini: «Capisco Napolitano - osservava ieri Berlusconi - ma in Italia un governo che non abbia i numeri non c’è mai stato». Insomma, rispetto a quello del Cavaliere i piani degli suoi avversari appaiono fin troppi confusi: non si sa se contemplino la sopravvivenza di Prodi, oppure no; pretendono che Veltroni rinunci al bipolarismo ma non gli offrono un quadro di alleanze certo. Di fatto, sono figli più che altro della paura dei vari Marini, D’Alema, Fassino e Rutelli di perdere non solo il governo, ma anche la loro influenza nel Pd. «Un gruppo dirigente - è la chiosa del capogruppo verde Angelo Bonelli - che si è rivelato inadeguato. Che ne ha sbagliate tante. Troppe».
AUGUSTO MINZOLINI

Ponte, la maggioranza va sotto al Senato

da "Corriere delle Sera" del 25 ottobre 2007


No dell'aula all'emendamento sulla soppressione della società Stretto di Messina. L'Idv vota con l'opposizione




ROMA - L'Aula del Senato ha respinto l'emendamento della commissione Bilancio che prevede la liquidazione della società Ponte Stretto di Messina Spa. L'emendamento aveva il parere favorevole del relatore di maggioranza Natale Ripamonti mentre il governo si era rimesso all'Aula. Italia dei Valori ha votato contro l'emendamento insieme alla Cdl.

BATTUTA - In Senato la maggioranza è stata battuta dal voto contrario dei quattro senatori dell'Italia dei Valori e di Roberto Barbieri (Costituente Socialista) che avevano annunciato il voto contrario. Il risultato infatti ha registrato 145 sì, 160 no e 6 astenuti. Questi 5 voti della maggioranza si sono uniti a quelli della Cdl. Tecnicamente il governo non è stato battuto perché si era rimesso alla votazione dell'Aula dopo le difficoltà incontrate in commissione Bilancio: tra mercoledì e giovedì mattina l'esecutivo aveva provato a ritirare l'emendamento in commissione, ma l'Idv aveva premuto - insieme alla Cdl - per sottoporre la norma alla votazione del Senato. Il risultato della votazione è che la società che deve gestire la progettazione dell'opera rimane attiva.

MAGGIORANZA IN ORDINE SPARSO - A mandare la maggioranza a fondo anche i voti di astensione di Lamberto Dini, del diniano Natale D'Amico e del senatore a vita Emilio Colombo: si ricorda che al Senato l'astensione equivale al voto contrario. Il ministro della Giustizia, Clemente Mastella, non ha partecipato alla votazione sull'emendamento: Mastella era presente stamani in aula, ma dal tabulato delle votazioni su questo emendamento, su cui il centrosinistra si è diviso, figura tra i non partecipanti, insieme al presidente della commissione Affari costituzionali, Enzo Bianco. Al momento del voto erano assenti anche i senatori a vita Giulio Andreotti, Francesco Cossiga, Carlo Azeglio Ciampi, Oscar Luigi Scalfaro e Sergio Pininfarina. Assente anche il senatore indipendente Luigi Pallaro. Rita Levi Montalcini ha votato a favore dell'emendamento presentato dalla commissione Bilancio.


BOCCIATO EMENDAMENTO CDL SU DERIVATI - L'aula del Senato ha bocciato anche l'emendamento al dl collegato alla Finanziaria, presentato dalla Cdl (prima firmataria Cinzia Bonfrisco), per limitare i rischi della finanza derivata agli enti locali. I voti contrari sono stati 154, i favorevoli 152, un astenuto.

martedì 23 ottobre 2007

Emeriti benefici: 30 uomini per ogni ex presidente

(tratto da l'articolo di Primo Di Nicola in edicola questa settimana su L'espresso)

Si parla di tagli e volano le polemiche. Fino a investire il Colle più alto della Repubblica, quello del Quirinale. Francesco Cossiga non ha peli sulla lingua: «Non metterò più piede là dentro nemmeno quando quelli lì mi convocheranno per le consultazioni di rito in caso di crisi di governo». Cossiga tuona, ma non è il solo a sentirsi colpito. Anche Oscar Luigi Scalfaro e Carlo Azeglio Ciampi, gli altri due ex presidenti della Repubblica, celano a fatica il loro disappunto e in privato si lamentano delle ultime iniziative del Colle.
Nella corsa ai risparmi che dovrebbe portare a un dimagrimento dei costi del Quirinale (217 milioni nel 2006), è stato preso di mira il trattamento concesso agli ex capi dello Stato. Una voce di spesa che per ragioni di riservatezza la presidenza della Repubblica preferisce non divulgare: a “L’espresso” è stato opposto un cortese rifiuto.
Cosa c’è in ballo esattamente? A ciascuno dei presidenti cessati dalla carica spetta una lunga serie di servizi a spese del Quirinale: un dipendente della presidenza della Repubblica, con funzioni di segretario, distaccato (in posizione di “comando”) nel suo staff; due dipendenti, con funzioni di guardarobiere e di addetto alla persona, distaccati presso l’abitazione privata. Ancora: un telefono cellulare o satellitare, un fax, una linea urbana riservata, un collegamento “punto punto” con il centralino della presidenza, uno con la batteria del Viminale e una connessione diretta con la centrale dei servizi di sicurezza del Quirinale. Con una particolarità: la duplicazione di questi impianti, uno installato presso lo studio e l’altro presso l’abitazione. E non è finita: agli ex spettano anche collegamenti (sempre duplicati) telematici per la consultazione delle agenzie di stampa e di banche dati, e televisivi in bassa frequenza. Infine, c’è l’auto, «dotata di telefono veicolare» e con autista, spettante anche alla vedova dell’ex presidente o al primo dei suoi figli.
A questa dote a carico del Quirinale gli ex presidenti sommano (oltre all’uso di navi, aerei e treni a cura della presidenza del Consiglio) pure le garanzie per i senatori a vita previste da Palazzo Madama: un ufficio (tra i 150 e i 200 metri quadrati) e segreterie particolari con un capufficio, tre funzionari, due addetti alle mansioni esecutive, altri due addetti alle mansioni ausiliari più, a scelta, un consigliere militare o diplomatico. Senza contare le scorte: contando le postazione fisse davanti alle case, ci sono una ventina di poliziotti e carabinieri. Insomma: oltre 30 persone al servizio di ciascun ex presidente.

Visco: «Dall'evasione mancati introiti per 100 miliardi, 23 recuperati»

da "Il sole 24ore" del 23 ottobre 2007
di Nicoletta Cottone

L'evasione ha ancora dimensioni eclatanti, fino a 4 volte superiori a quelli dei paesi europei più virtuosi. In termini di gettito si tratta di almeno 7 punti percentuali di Pil di mancate entrate, che corrispondono a una perdita di gettito superiore a 100 miliardi di euro. Si perde, dunque, più del 15% delle entrate oggi raccolte. Lo segnala il viceministro Vincenzo Visco nella relazione inviata in Parlamento sui risultati della lotta all'evasione. Dati ancora allarmanti: il valore aggiunto dell'economia sommersa è quasi il 18% del Pil e si stima che l'evasione fiscale sia ancora maggiore, pari al 21% della base imponibile Irap e al 33% della base imponibile Iva.

La lotta all'evasione del Governo sta dando risultati: 23 miliardi di euro di maggiori entrate non pagate recuperate fra il 2006 e il 2007, legate al miglioramento della tax compliance dei cittadini e all'aumento del 20% delle entrate da ruoli e riscossioni.
Sul fronte dell'evasione Irap, in agricoltura si evade circa il 39% del valore aggiunto, nel terziario e nei servizi il 29%, nell'industria il 9 per cento. I valori più elevati si registrano nel settore delle costruzioni e dei servizi immobiliari dove si stima che l'evasione superi il 50 per cento. In base al peso di ciascun settore sull'economia, però, più dell'80% è evaso nel settore dei servizi, in particolare sul fronte dei servizi alle imprese e alle famiglie e del commercio al dettaglio. Minime le differenze fra Nord e Sud.

Sul fronte delle imprese l'evasione coinvolge le grandi e le piccole, anche se appare più diffusa fra le piccole: in termini assoluti, infatti, l'evasione è più forte nelle grandi imprese, ma le piccole e medie occultano al Fisco quasi il 55% in più della base imponibile di quanto facciano le grandi. Il primo segnale del Governo, sottolinea Visco, è stata la fine della stagione dei condoni e delle sanatorie fiscali. Poi una serie di provvedimenti a supporto delle attività di controllo, rafforzando l'effetto deterrenza dell'attività di accertamento. Centrale la riorganizzazione dell'anagrafe tributaria intorno al singolo contribuente e non alle singole imposte, affiancata dalla crescita dei controlli e a nuove strategie d'azione nelle verifiche. Alcune disposizioni sono state mirate a chiudere i margini di manovra degli evasori, a partire da settori ad alta evasione, come quello dei servizi immobiliari.

SOCIETÀ. STA CRESCENDO IN TUTTO IL MONDO IL BISOGNO DI VIVERE CON MENO COMPLICAZIONI VIVA LA VITA SEMPLICE

da "Famiglia Cristiana" n.43 del 2007

Troppa fretta, troppe ansie, troppa tecnologia: la nostra esistenza è diventata una folle corsa. Partita negli Usa con il nome di Slow Living, "Vivere con lentezza", la tendenza a rallentare è approdata anche da noi. Per fortuna.

Forse i figli del baby-boom stanno invecchiando, forse hanno meno energie per adattarsi a un mondo che è cambiato in modo diverso da come volevano cambiarlo loro. O forse quanti l’hanno cambiato davvero – informatici e pubblicitari, finanzieri e "globalizzatori" – sono travolti dal moltiplicarsi delle loro stesse creature e si temono apprendisti stregoni.

Oppure è un riaffacciarsi del buonsenso comune, una rivolta di uomini e donne medi stanchi di farsi mangiare tempo ed energie da complicatissime diavolerie tecnologiche, vite piene di impegni, case che straripano di cose.

Sta di fatto che sempre più spesso si sente aleggiare nell’aria un desiderio di semplicità, di ritmi più umani; una voglia di fermare un mondo che ci bombarda di stimoli per scendere a cercare un’aria più semplice. Intendiamoci: non lo dicono solo filosofi e poeti, abituati a precorrere i tempi e a venire accusati di vendere aria fritta. Lo fanno uomini dell’economia rampante, esponenti della categoria che ha inventato l’orrendo verbo "ottimizzare", cioè comprimere tempi e persone per ottenere il massimo del rendimento.

A maggio l’investitore di New York Fred Wilson ha scritto sul suo blog: «Sono rimasto così indietro nel rispondere alle e-mail che dichiaro bancarotta». Un altro americano, l’amministratore delegato Jeff Nolan, gli ha fatto eco: «Tornerò a usare la voce come mezzo principale per interagire con le persone». E un professore di informatica di Stanford, Donald Knuth, ha chiosato: «Sono stato un uomo felice dal 1° gennaio 1990, quando non ho più avuto un indirizzo e-mail».

Altro esempio, cambiando settore? Dopo le recenti perdite nelle Borse conseguenti alla crisi dei mutui subprime, i maggiori guru internazionali degli investimenti sono stati concordi nel consigliare, tra l’altro, di mettere i propri soldi nei prodotti finanziari più semplici ed economici, perché più trasparenti e meno a rischio.

Se poi si vuole passare al tempo libero, l’area nella quale i soldi non si fanno ma si spendono, è sempre dagli Stati Uniti che si è affacciata la tendenza allo Slow living, il vivere con lentezza. La quale ha un corrispettivo codificato anche in Italia, l’associazione "Vivere con lentezza", creata due anni fa dall’indaffaratissimo manager di Pavia Bruno Contigiani. Il quale continua a lavorare, ma meno di corsa: «Ero insoddisfatto di quel modo di vivere, senza gustarmi niente, sempre con la paura di non avere tempo per fare le cose al meglio. Insieme a un gruppo di amici, ho notato che il malessere per i ritmi insostenibili era molto diffuso, e c’era già gente che faceva scelte per migliorarsi la vita. Però non in modo egoistico: si vuole stare bene non da soli, ma con gli altri».

Multe a chi cammina troppo veloce

Gli iscritti sono un centinaio, i referenti un migliaio e i contatti al sito davvero tanti: le iniziative, a volte serie e a volte un po’ burlone, hanno il pregio della fantasia e lo scopo di far uscire chi aderisce dalla solitudine che sembra caratterizzare i nostri tempi. Un mese fa, ad esempio, nei bar perlopiù periferici di molte città hanno organizzato letture di pagine di libri con chiacchierate annesse. Nel febbraio di quest’anno hanno indetto la prima "Giornata della lentezza", durante la quale distribuivano finte multe ai camminatori troppo veloci del centro di Milano.

A breve proporranno una "tre giorni" della lentezza a New York, dove sono già stati ricevuti con simpatia dalla segreteria del sindaco Bloomberg, che è ben conscio del malessere dei suoi cittadini e trova interessanti le iniziative esposte da Contigiani.

Il primo a venire iscritto d’ufficio all’associazione, come socio onorario, è stato il sociologo Domenico De Masi, il cui libro L’ozio creativo (Rizzoli) ha avuto una vasta eco, fino a diventare una sorta di vademecum spesso citato da chi continua a considerare possibile l’umanesimo nell’età della tecnica.

Il professor De Masi spiega così il bisogno crescente di ridurre ritmi e stimoli: «Con il passare degli anni si diventa più saggi, e con l’aumentare della saggezza ci si rende conto che si vive una volta sola. Tanto vale, quindi, vivere nel modo più sereno possibile, e la serenità dipende prima di tutto dal ridurre il nostro disorientamento». Con un distinguo, però: «La vita è complessa nella sua realtà, e ogni semplificazione è una falsificazione. Io credo che dobbiamo imparare a gestire strumenti complessi, per gestire una vita complessa».

L’osservazione, allora, vale anche per le complicate tecnologie che si succedono a ritmo continuo? «Per gestire la tecnologia non ci vuole la tecnologia», obietta De Masi, «ma la saggezza, che può derivare da studi filosofici o dall’esperienza intelligente. La saggezza aiuta a distinguere quello che è fine da quello che è mezzo, trattando i mezzi come fatti puramente strumentali e i fini come fatti principali». Insomma, la semplicità si dimostra piuttosto complicata.

Non per nulla è la principale passione intellettuale di una mente raffinata come quella del quarantenne John Maeda, docente al prestigioso Massachusetts Institute of Technology (Mit). Dopo aver dato vita nel 2004 al Mit Simplicity Consortium, Maeda ha pubblicato l’anno scorso un libro intitolato Le leggi della semplicità (Bruno Mondadori), nel quale dichiara: «Perseguire la semplicità nell’era digitale è diventata la mia missione, il focus delle mie attuali ricerche qui al Mit».

Il volumetto, agile ma tutt’altro che banale, contiene riflessioni ed esempi riferiti soprattutto alle tecnologie, di cui Maeda è esperto e docente, e per l’autore rappresenta solo una tappa in una ricerca destinata a protrarsi.

Il mondo? Cade a pezzi da sempre

Forse è vero che ai nostri tempi la semplicità come traguardo personale può essere un punto d’approdo, non di partenza. Ma un tasso minore di confusione nell’ambiente saturo di input che ci circonda è un obiettivo che dovrebbe far pensare chi contribuisce a crearli.

John Maeda è tra costoro, e difatti ci pensa. Anche riportando un delizioso aneddoto della sua vita. «Quando», scrive, «pieno di zelo giovanile, ho iniziato a considerare il problema della semplicità, sentivo che la complessità stava distruggendo il mondo e che era necessario porle un freno. Durante una conferenza di cui sarei poi stato relatore, un artista di 73 anni mi prese da una parte e mi disse: "Il mondo cade a pezzi da sempre, quindi rilassati"».

Rosanna Biffi

California, 500mila sfollati e mille case distrutte

da "Il Messaggero" del 23/10/2007

Contro gli incendi scende in campo l'esercito
Il fuoco divora una casa nella contea di San Bernardino

LOS ANGELES (23 ottobre) - Mezzo milione di sfollati, tra cui star di Hollywood e celebrità varie, mille case distrutte, divorato dalle fiamme un territorio pari alla metà della provincia di Milano. Il bilancio degli incendi che da domenica stanno devastando la California si aggrava, mentre anche l'esercito è in azione per fronteggiare l'emergenza. Nonostante le cifre altissime, al momento si contano soltanto due vittime, a Santa Clarita e a Rancho Bernardo. I feriti sono numerosi, soprattutto fra i vigili del fuoco. Nel sud dello Stato sono migliaia i pompieri che lottano le fiamme. Oggi il presidente George W.Bush ha autorizzato la Fema, l'Agenzia federale per la gestione delle emergenze, a coordinare i soccorsi, che saranno finanziati al 75% da fondi federali.

Seimila pompieri impegnati. In uno scenario apocalittico almeno 17 roghi fuori controllo, alimentati dai venti caldi del deserto che soffiano oltre i 100 chilometri orari e aiutati da temperature sopra i 30 gradi, stanno ancora devastando il Golden state. Il governatore della California, Arnold Schwarzenegger, ha proclamato lo stato di emergenza in sette contee, ha schierato 1.500 uomini della Guardia nazionale e ha ottenuto dal Pentagono l'invio di aerei speciali per domare le fiamme. Seimila vigili del fuoco sono impegnati 24 ore su 24.

A San Diego, la terza città del Golden State, circa 250.000 persone hanno dovuto abbandonare le proprie case perché minacciate dalle fiamme. Circa 10.000 persone hanno trovato un riparo di fortuna nello stadio di football della città. È stato anche deciso di evacuare uno degli ospedali della contea di San Diego, quello di Pomerado, minacciato dal fuoco.

A Malibu, la città dei ricchi e famosi a nord di Los Angeles, dove lunedì sono bruciati 970 ettari e sono andati distrutti una chiesa e un castello in stile neogotico, attrattiva del luogo, la situazione sta oggi migliorando, visto e l'incendio è ora parzialmente sotto controllo.

La costa californiana devastata dalle fiamme ospita le ville di star come Mel Gibson, Sting, Barbra Streisand, Richard Gere, Jenifer Aniston, Pierce Brosnan, Dick Van Dyke, Olivia Newton-John, James Cameron e tante altre celebrità miliardarie.

G8, la procura chiede 225 anni per 25 no global

da "Repubblica" del 23/10/2007

GENOVA Duecentoventicinque anni di prigione ai venticinque no global che parteciparono alle distruzioni e ai saccheggi di Genova durante i G8 di sei anni fa. La Procura del capoluogo ligure usa la mano pesante: è una richiesta che evoca le requisitorie dei maxi processi per mafia quella pronunciata nelle ultime otto udienze dai due pm genovesi Andrea Canciani e Anna Canepa. Da 6 a 16 anni di reclusione hanno chiesto i magistrati per ognuno degli inquisiti: "Dobbiamo avere il coraggio di chiamare quei fatti con il loro nome: devastazione e saccheggio", ha detto il pm Canciani. "Al tribunale chiediamo quindi pene severe".

Per Massimiliano Monai, l'uomo che poco prima della morte di Carlo Giuliani in piazza Alimonda fu ripreso vicino al Defender dei carabinieri con una trave in mano, è stata chiesta una condanna a nove anni di carcere. La pena più pesante, 16 anni, la procura l'ha richiesta per Marina Cugnaschi, 41 anni di Lecco, "l'eroina" anarchica del centro sociale milanese Villa Okkupata, ripresa in un video mentre lancia una bottiglia incendiaria contro il portone di ingresso del carcere di Marassi.

"Queste richieste di condanna - ha commentato Haidi Giuliani, senatrice di Rifondazione e madre di Carlo Giuliani, morto quel tragico 20 luglio 2001, il giorno degli scontri per cui sono indagati i 25 no global - non tengono minimamente conto del contesto in cui sono avvenuti i fatti". Quei 25, la senatrice, li definisce "capri espiatori": "Se chi si difende da violenze ingiustificate, o ruba un prosciutto, merita 225 anni di carcere, quantise ne dovrebbero pretendere per chi ha rotto teste, denti, costole, per chi ha torturato, per chi ha ucciso? Continuo a ribadire la mia piena solidarietà ai 25 accusati", ha concluso Haidi Giuliani.
La sentenza per il processo dei no global è prevista prima di Natale. Entro la prossima estate è atteso invece il pronunciamento del tribunale sulle violenze e gli arresti ingiustificati ordinati dai poliziotti: sui 29 dirigenti e poliziotti della Celere inquisiti per il "massacro nella scuola Diaz", come l'ha definito il pm Canciani e sui 45 agenti sospettati di soprusi e violenze sui 300 ragazzi rinchiusi nella caserma di Bolzaneto.

Osama, nuovo appello alla guerra santa

da "Corriere della Sera" del 23/10/2007

«È dovere dei musulmani in Sudan e in Arabia portare avanti la jihad contro i crociati invasori»
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DUBAI - Ancora un appello di Osama Bin Laden. In un messaggio audio diffuso online il numero uno di al Qaeda chiama alla «guerra santa» contro le forze straniere in Sudan e nella Penisola araba. «È dovere dei musulmani in Sudan e... nella penisola araba portare avanti la jihad contro i crociati invasori» dice la voce che sembra quella del leader di al Qaeda.

In giornata l'intelligence Usa ha fatto sapere di ritenere autentica la registrazione audio di Osama bin Laden diffusa ieri dai media. La portavoce della Casa Bianca Dana Perino ha detto che «gli esperti dell'intelligence ritengono che il nastro sia autentico e che si tratti della voce di Osama bin Laden». Nel nastro il leader di Al Qaida esorta gli insorti in Iraq ad agire in stretta coordinazione con i membri della sua organizzazione terroristica.

lunedì 15 ottobre 2007

Un giudice Usa: il 41 bis è tortura

da "Il giornale" del 15 ottobre 2007
Los Angeles - Un giudice di Los Angeles, D.D. Sitgraves, ha rifiutato l’estradizione in Italia di un membro del clan dei Gambino citando il rischio che venga sottoposto al regime carcerario imposto dal 41 bis paragonato a una forma di "tortura". Lo rende noto il Los Angeles Times, citando la sentenza emessa l’11 settembre scorso dal giudice che definisce "la coercizione" del carcere duro imposto ai detenuti per mafia, "non è da considerarsi collegata a nessuna sanzione legalmente imposta o punizione e quindi costituisce una tortura". "È una questione umanitaria: in questo caso particolare, queste condizioni di detenzioni minaccerebbero e comprometterebbero la vita" del detenuto, ha aggiunto il giudice che ha accolto il ricorso dell’avvocato Joseph Sandoval che si è opposto all’estradizione dell’Italia di Rosario Gambino che negli Stati Uniti ha scontato 22 anni per traffico di droga. Dopo essere stato scarcerato dalla prigione federale, da un anno Gambino era detenuto nel centro di detenzione per immigrati di San Pedro, in attesa appunto dell’ordine di deportazione.

Mafia, chiesti otto anni per Cuffaro

da "La Stampa" del 15 ottobre 2007

PALERMOLa condanna a otto anni di reclusione nei confronti del presidente della Regione Salvatore Cuffaro, imputato di favoreggiamento a Cosa Nostra e rivelazione di notizie riservate, è stata chiesta dal procuratore aggiunto Giuseppe Pignatone, a conclusione della requisitoria nel processo alle cosi dette talpe della Dda.I pm hanno poi chiesto la condanna a 18 anni per il manager della sanità privata Michele Aiello, che deve rispondere di associazione mafiosa; nove anni per il maresciallo del Ros Giorgio Riolo, accusato di concorso in associazione mafiosa; cinque anni per il radiologo Aldo Carcione, imputato di concorso in rivelazioni di segreto d’ufficio.Di fronte alla richiesta del pm non si sono fatte attendere le dichiarazioni dei legali del governatore della Sicilia. «A questo punto ci aspettavamo una richiesta pesante, peraltro anticipata anche in questi giorni da qualcuno. Certo, non ci attendavamo il massimo previsto dalla legge. Comunque da noi, anche la richiesta di un solo giorno di carcere, sarebbe stata ritenuta eccessiva», hanno detto gli avvocati Nino Caleca e Nino Mormino.Proprio oggi i difensori di Cuffaro hanno depositato nella terza sezione del Tribunale di Palermo l’istanza in cui chiedono la «remissione» del processo in altra sede giudiziaria per «la grave situazione ambientale». A decidere sarà la Cassazione. Berlusconi: escludo che sia coinvolto«Confermo con forza la mia solidarietà al presidente della Regione Sicilia, on. Salvatore Cuffaro. La stima che nutro nella sua intelligenza mi fa escludere in maniera assoluta che egli possa essere coinvolto in quelle vicende in cui si pretende di coinvolgerlo». Il presidente di Forza Italia, Silvio Berlusconi, commenta così la richiesta di condanna ad 8 anni avanzata dall’accusa per il ’governatorè siciliano al termine della requisitoria al processo per le presunte ’talpe alla Ddà.

Elezioni Pd: Walter Veltroni al 75,63%

da "Corriere della Sera" del 15 ottobre 2007

Walter Veltroni è il primo segretario del Partito democratico. A decretarne la nomina, data per scontata già alla vigilia, sono i risultati emersi dalle urne che si configurano come un vero e proprio plebiscito. A oltre metà dello scrutinio dei voti per le primarie del Pd Veltroni ha il 75,63% dei voti. I seggi dove le operazioni di conteggio dei voti sono state ultimate sono 6076, pari al 54,23% del totale. Veltroni ha ottenuto 1.296.466 voti. Al secondo posto segue Rosy Bindi con il 14,04% e poi Enrico Letta con il 10,14%. A Mario Adinolfi va lo 0,13% dei consensi e a Piergiorgio Gawronsky lo 0,06%. Oltre al segretario del Pd i più di 3 milioni e 300 mila elettori hanno anche eletto i 2400 componenti dell'assemblea costituente del partito, che verrà convocata il prossimo 27 ottobre dal presidente Romano Prodi. I dati ufficali confermano le proiezioni che si sono via via succedute a spoglio in corso. La sesta e ultima proiezione della Ipsos sul voto, relativa al 98% del campione, dava al 75,7% dei consensi. Rosy Bindi ottiene il 13,3%, Enrico Letta al 10,8%, Mario Adinofli e Pier Giorgio Gawronsky allo 0,1% ciascuno.
«SARA' UN OTTIMO SEGRETARIO» - Come pronosticato alla vigilia, dunque, il sindaco di Roma ha fatto man bassa di consensi. Tutti e cinque i candidati alla leadership, oltre al premier Romano Prodi (che ha parlato anche di «governo più forte) e ai leader del centrosinistra, hanno comunque espresso soddisfazione per la grande partecipazione popolare. Enrico Letta ha rivolto i propri auguri a Veltroni sottolineando che «sarà un ottimo primo segretario del più grande partito italiano»; sulla stessa linea Rosy Bindi che ha evidenziato come il sindaco di Roma fosse la persona «che d'altra parte avrei votato se non mi fossi candidata».
LA GRANDE AFFLUENZA - Secondo quanto comunicato dai coordinatori del partito, i votanti nel corso dell'intera giornata sarebbero stati più di tre milioni e in diversi seggi è stato necessario prolungare l'orario di apertura dei seggi (il termine delle operazioni era stato inizialmente fissato nelle ore 20) per smaltire le lunghe file di iscritti e simpatizzanti desiderosi di dare il proprio contributo.
«PRIMI IN ITALIA» - «Sarò ottimista, ma già oggi siamo il primo partito» è stata la prima dichiarazione dello stesso Veltroni che ha parlato di un «voto per cambiare» che conferma che «il paese è più avanti di chi lo rappresenta e di chi lo racconta». «Stasera confermiamo il pieno sostegno al governo che sta guidando il Paese e che questo Paese sta trasformando - ha aggiunto il sindaco di Roma - Il bilancio di questo governo è molto migliore dell'immagine che dà a causa della frammentazione». Veltroni ha parlato di quello con Romano Prodi come di un «rapporto a prova di bomba» (ricevendo a stretto giro di replica, dal premier, una dichiarazione significativa: «siamo nati insieme, siamo cresciuti insieme»).
IL NUOVO PARTITO - Il neo segretario, che ha parlato della grande affluenza come di «una risposta all'antipolitica», ha poi spiegato come sarà il suo Pd: «Non sarà un partito di correnti - ha assicurato Veltroni - e il 50% degli organismi dirigenti sarà composto da donne. Non sarà un partito che nasce dal leader o per un leader ma per le persone reali per questo paese reale».
«LA CDL DOVRA' CAMBIARE» - Veltroni ha contrapposto le modalità che hanno portato alla nascita del nuovo partito, e della sua leadership, con la situazione del centrodestra. «Lo schema della Cdl - ha detto il sindaco di Roma - è vecchio e corrisponde ad una vecchia stagione politica italiana. Hanno governato per sette anni con quella conformazione visto che non possono fingere di aver attraversato quegli anni come dei passanti. Sono convinto che anche la Cdl verificherà il suo schema».
L'ABBRACCIO A SANTI APOSTOLI - L'incontro e l'abbraccio tra Romano Prodi e Walter Veltroni, a piazza Santi Apostoli, sono avvenuti un quarto d'ora prima della mezzanotte, quando il sindaco di Roma ha raggiunto la sede dell'Ulivo. Non ha preso la parola per ulteriori dichiarazioni e ha lasciato che Prodi evidenziasse come «il Pd sarà il punto di riferimento fondamentale della politica italiana» perché «nasce in un modo completamente diverso da qualsiasi partito nato nella storia del nostro Paese». «Da oggi incomincia un cammino straordinario - ha sottolineato ancora il premier -. Nei prossimi giorni si inizierà a lavorare alla costruzione del nuovo partito. Il governo non solo non ha nulla da temere da questo passaggio, ma anzi sarà rafforzato in modo vitale. Con Walter abbiamo iniziato insieme 12 anni fa il cammino del Partito democratico e coerentemente non lo abbiamo mai abbandonato. E alla fine ce l'abbiamo fatta»

venerdì 12 ottobre 2007

Welfare: Ferrero e Bianchi si astengono

da "la Repubblica" del 12 ottobre 2007
ROMA - Non sono servite le modifiche proposte dal ministro del lavoro Cesare Damiano a placare l'estrema sinistra. Il ministro della Solidarietà Sociale Paolo Ferrero (Rifondazione Comunista) e quello dei Trasporti Alessandro Bianchi (Pdci) si sono astenuti. Mentre quello dell'Università Fabio Mussi e quello dell'Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio hanno espresso un sì con riserva. Il provvedimento è stato comunque approvato dal Consiglio dei ministri.
Il ministro della Solidarietà Sociale Paolo Ferrero (Eidon)«Le modifiche proposte - ha detto il ministro Ferrero - non sono sufficienti, anche se il voto dell'astensione tiene conto dell'impegno assunto dal governo per modificare il pacchetto in Parlamento».
LE MODIFICHE - Damiano aveva tentato in tutti i modi di appianare la divergenza tra la maggioranza all'interno del governo e l'estrema sinistra, introducendo tre novità al protocollo sul welfare firmato il 23 luglio scorso da governo e parti sociali e approvato nel referendum di qualche giorno fa da oltre l'81% dei lavoratori. Tre le modifiche apportate al testo dell'accordo. Per i contratti a termine, dopo i primi 36 mesi, è previsto un solo rinnovo, da stipulare davanti ad un esponente sindacale delle sigle più rappresentative. Salta il tetto ai lavori usuranti (in origine 5.000 l'anno), ma il fondo per il momento resta invariato. Viene introdotta la «cassa integrazione ambientale» ovvero si estende l'utilizzo degli ammortizzatori sociali anche ai lavoratori delle aziende in difficoltà per crisi ambientali.
PRODI - «Le congetture di questi giorni sulla divisione del governo sono fuori posto»: ha dichiarato il premier Romano Prodi in conferenza stampa, al termine del Consiglio dei ministri. Il via libera del Consiglio dei ministri al provvedimento sul welfare è stato «favorito anche dal risultato del referendum, al di là delle aspettative» ha aggiunto Prodi. Tuttavia successivamente lo stesso Prodi ha dovuto ammettere che il ddl è stato approvato con l'astensione di due ministri. Il disegno di legge sul welfare ha aggiunto Prodi «può mettere il Paese in linea con la legislazione di altri Paesi europei, più agile e adeguata ai tempi e attenta ai giovani. Insomma, si tratta di un provvedimento che mette allo stesso tempo «ordine e imprime dinamismo al mondo del lavoro».

Al Gore vince il Nobel per la pace

da "il Corriere della Sera" del 12 ottobre 2007


Al Gore (Reuters)OSLO - L'ex vice presidente americano Al Gore ha vinto il premio Nobel per la pace 2007 insieme al Comitato intergovernativo per i mutamenti climatici (Ipcc) dell'Onu. La motivazione del comitato per il Nobel per la pace riporta «gli sforzi per costruire e diffondere una conoscenza maggiore sui cambiamenti climatici provocati dall'uomo e per porre le basi per le misure necessarie a contrastare tali cambiamenti».

OPERE - Gore, candidato democratico alla presidenza Usa sconfitto nel 2000 da George W. Bush, ha girato il film-documentario «Una scomoda verità» sul riscaldamento terrestre. L’Ipcc ha diffuso rapporti ed è in procinto di riprendere la discussione sul Protocollo di Kyoto per sostituirlo con un nuovo documento. L'Ipcc, presieduto dall'indiano Rajendra Pachauri, è una commissione Onu di cui fanno parte circa 3 mila scienziati tra oceanografi, studiosi dell'atmosfera, glaciologi, economisti; l'organismo è considerato la massima autorità scientifica sull'effetto-serra e il suo impatto ambientale. «L'Ipcc ha creato un sempre più ampio consenso informato sulla connessione che esiste tra le attività umane e il riscaldamento climatico», ha aggiunto il comitato Nobel. «Migliaia di scienziati di oltre cento Paesi hanno collaborato per accertare la certezza del riscaldamento in corso». Invece Gore «da lungo tempo è un ambientalista e politico che si è reso conto conto delle sfide climatiche che la Terra affronta, e il suo lavoro di divulgazione ha rafforzato la lotta contro i mutamenti climatici».
NOBEL - È il secondo premio Nobel per la pace che in pochi anni va a chi si è occupato di tematiche ambientaliste, come non è mai avvenuto in oltre cento anni di vita del prestigioso premio e a dimostrazione di una grande attenzione ai temi dell'ambiente. Infatti nel 2004 il Nobel venne assegnato all'ambientalista e pacifista keniana Wangari Maathai.
PRECEDENTI - È la nona volta che un premio Nobel per la pace va a un personaggio politico americano. In precedenza l'avevano vinto nel 1906 il presidente Theodore Roosevelt, nel 1912 l'ex segretario di Stato Elihu Root, nel 1919 il presidente Woodrow Wilson, nel 1925 il vice presidente Charles Gates Dawes, nel 1945 l'ex segretario di Stato Cordell Hull, nel 1953 l'ex segretario di Stato George Marshall, nel 1973 il segretario di Stato Henry Kissinger e nel 2002 l'ex presidente Jimmy Carter.Anche per le Nazioni Unite si tratta del nono premio. Nel 1954 e nel 1981 vinse l'agenzia per i Rifugiati, nel 1961 fu assegnato postumo al segretario generale Dag Hammarskjold, nel 1965 l'Unicef, nel 1969 l'Organizzazione internazionale del lavoro, nel 1988 i Caschi blu, nel 2001 l'Onu e il segretario generale Kofi Annan, e nel 2005 l'Agenzia internazionale per l'energia atomica.
12 ottobre 2007

Il sindacato trionfa e dà una lezione di democrazia

da "Il Riformista" del 12 ottobre 2007

l risultato del referendum sul welfare è un fatto politico importante per varie ragioni. Non solo perché è la prima buona notizia per il governo da parecchio tempo a questa parte. Ma anche per le cose che dice sullo stato dell’opinione pubblica del nostro paese, e su quello della politica che dovrebbe interpretarla e rappresentarla. Nel nostro dibattito pubblico sembra da tempo che non ci sia altro che politica autoreferenziale e antipolitica: l’una sempre più assediata nel suo fortino, mentre l’altra dilaga nelle piazze reali e virtuali, ma sempre più separata da qualunque obiettivo realistico, da qualunque progetto di riforma; anch’essa, in fondo, autoreferenziale. In questo devastato panorama irrompe il referendum, ricordandoci, con l’alta partecipazione e con la valanga di sì, che il sindacato è forse l’unico grande soggetto collettivo rimasto alla nostra democrazia. Un soggetto che è ancora in grado di agire politicamente e produrre un evento democratico significativo. E se è così, sarà bene che tutti i soggetti politici, in primo luogo il Partito democratico, ne tengano conto. Che posto ha il sindacato nell’idea di politica del Pd? È una domanda che vorremmo fare al gruppo dirigente del nuovo partito. Al momento, la cosa più evidente è che il sindacato esce vincitore dall’anomalo conflitto con la sinistra radicale, che - come già ai tempi del primo governo dell’Ulivo - pretendeva di scavalcarlo rappresentando direttamente i lavoratori. Ora le richieste di modifica dell’accordo raggiunto tra governo e parti sociali appaiono risibili, completamente delegittimate. Eppure quelle richieste verranno presentate al governo; e probabilmente non resteranno senza qualche risposta. Viene qui in luce l’altro insegnamento politico del voto, il paradosso della nostra situazione: gruppi politici le cui posizioni sono palesemente respinte dai votanti, che invece mostrano di accettare quel poco o tanto di proposta riformatrice contenuta nell’accordo, conservano però la loro capacità di ricatto parlamentare e quindi la loro capacità di modificare l’accordo stesso, in barba alla volontà di base che si è espressa in modo inequivoco. Risulta dunque ancora una volta, con evidenza plastica, che il nostro sistema politico è strutturato in modo da produrre un effetto distorsivo della rappresentanza.I cittadini, anzi i cittadini lavoratori, una fascia sociale che certamente non è tra quelle meglio piazzate nel momento attuale, dimostrano di comprendere e accettare la necessità di riforma del welfare, e di saper valutare il fatto che questa proposta di riforma è la più favorevole possibile. Riconoscono credibilità ai loro rappresentanti sindacali e al governo con cui è stato stretto l’accordo. Ma in nome di quegli stessi cittadini lavoratori alcune forze politiche della maggioranza minacciano di dissociarsi dal governo e di non votare quest’accordo. L’assurdità della situazione è talmente evidente da lasciare senza parole. Questa assurdità rimanda al problema della riforma elettorale, la cui modifica dovrebbe essere una priorità assoluta per tutti, e in primo luogo per il governo. Ma rimanda anche alla necessità di definire un nuovo assetto delle istituzioni rappresentative e di governo, come diceva ieri Panebianco sul Corriere della sera. Purtroppo è inutile che disputiamo se si debba incominciare dalla riforma elettorale o da quella costituzionale: non sembra prevedibile che si faccia né l’una né l’altra. In entrambi i casi il problema sta nei soggetti politici. Ma proprio su questo piano - cioè quello della ristrutturazione del sistema politico - sta accadendo qualcosa di significativo. La formazione del Pd è un passo molto importante, che può portare alla nascita di un soggetto politico forte, e potrebbe anche avere un effetto largo sulla configurazione complessiva del sistema. Soggetti politici più forti darebbero alla politica italiana la svolta necessaria per avere un governo in grado di governare e di fare le riforme di cui abbiamo un disperato bisogno. E che, come ha dimostrato il referendum, non è detto siano così invise ai loro reali destinatari.
Claudia Mancina12/10/2007

lunedì 8 ottobre 2007

IL PARAGONE CON IL 1992 E I GRILLO BOYS

L'editoriale del Cds di ieri, a firma di Sergio Romano, paragona l'attuale crisi del sistema politico a quella del 1992. Romano esordisce affermando che "i magistrati sono tornati negli studi televisivi". Ma lo stesso Romano, fa presto ad evidenziare le differenze che vi sono, come quella che non un'intera magistratura, come avvenne allora, ma pochi personaggi, oggi cavalcano l'onda rischiando di mettere in ginocchio l'attuale sitema.
La differenza sostanziale che riscontro, è sicuramente quella che allora vi fu una contestazione generale e soprattutto popolare, verso il sistema politico italiano. Lo stesso sistema, che a detta della popolazione e dei magistrati aveva creato dei mostri, aveva generato corrotti. Oggi, a mio avviso, la protesta, perchè di protesta trattasi e non sicuramente di rivoluzione come qualcuno l'ha apostrofato, è contro la classe dirigente, contro coloro che ci governano. In definitiva contro i politici e non contro la politica.
Il vuoto di consenso che si è creato, in sostanza lo spazio elettorale che si è liberato, da chi verrà occupato?
Il signor Grillo, sicuramente è uno dei pretendenti. Ma le contraddizioni che porta con sè il V-day sono enormi e incolmabili, per l'assenza totale di idee e la mancanza assoluta di un progetto politico da proporre. I sondaggi lo danno al 17%, quindi con un potere enorme nel sistema politico italiano, ma a cosa è dovuto questo apparente consenso.
Sicuramente piu' che ad un voto consapevole, potrà solo essere un voto di protesta contro la classe dirigente del paese, incapace di svecchiarsi, incapace di confrontarsi con i colleghi europei e mancante di un vero leader che possa sviluppare un progetto serio e concreto. In altre parole, l'assenza di un Sarkozy italiano, o di una Merkel creano nel nostro panorama una sfiducia e incongruenze enormi.
Quindi piu' che creare nuovi mostri,sicuramente peggio degli attuali, forse è il caso di riattivare i vecchi ed efficenti corsi di formazione politica, forse è il caso di rivalutare la componente ideologica dei partiti, forse è il caso di ripartire da zero, ma sicuramente selezionando e creando una nuova classe dirigente, giovane e responsabile, lasciando da parte i vari Grillo e iniziando a stabilire regole rigide che fissino lo spazio d'azione di ogni potere dello Stato.
Enzo Cimino