giovedì 25 ottobre 2007

Silvio: battuto sulla Rai,per Romano è finita

da "La Stampa" del 25 ottobre 2007


ROMAProbabilmente l’immagine offerta dal ministro Clemente Mastella sul governo, quella della Beirut dei bombardamenti e delle bombe, è la più azzeccata. Ogni giorno c’è un episodio che dimostra quanto l’attuale quadro politico sia inadeguato e quanto Romano Prodi inerme. Ieri mattina Silvio Berlusconi mettendo in atto la sua strategia del «logoramento» prima del colpo finale, ha dato il via libera alla mozione di sfiducia al Cda Rai. «L’importante - è l’indicazione che ha dato al fido Paolo Bonaiuti - è dimostrare che questo governo è in agonia. E la “sfiducia” al Cda della Rai, aldilà delle conseguenze, è un altro elemento, un altro tassello di questa strategia». Nelle stesse ore Romano Prodi ha tentato in tutti i modi di convincere Verdi, Rosa nel pugno, dipietristi e mastelliani a ritirare le mozioni di sfiducia al vertice Rai sulle quali ci sarebbe stata la convergenza dei voti del centro-destra. Il Professore ha usato, ovviamente, l’argomento opposto del Cavaliere. «In questa vicenda - ha spiegato - non è in gioco il Cda Rai, quanto l’immagine del governo. Se non le ritirate fate un piacere a Berlusconi». Un tentativo vano. O meglio, alla fine solo i Verdi hanno assecondato il premier. Gli altri sono rimasti fermi sulle loro posizioni. Così l’immagine della maggioranza che abbandona la commissione Rai per non essere battuta è diventata parte dell’album di fotografie sulla fine del governo del Professore. «E’ l’anticipo - è stato il commento del veltroniano Giulietti - di quello che avverrà in Parlamento». Appunto, Romano Prodi dà l’idea del premier asserragliato nell’ultima casamatta di Beirut. Al Senato la maggioranza traballa e si salva solo grazie al voto di Giulio Andreotti. Il Consiglio dei ministri non riesce a produrre uno straccio di provvedimento sulla sicurezza. Ci mancava solo la polemica tra il premier e il presidente della Camera, Fausto Bertinotti, colpevole di aver ipotizzato un altro governo per fare la riforma elettorale. Quindi, di tutto e di più. Da una parte c’è un Professore che annaspa. Dall’altra c’è un Cavaliere che fa di tutto per mostrarsi sicuro. A palazzo Grazioli l’ex-presidente della Regione Puglia, Raffaele Fitto, si è trovato di fronte un personaggio arciconvinto. «Se metti in dubbio che si voterà a primavera - racconta - Berlusconi si incazza. Ha sulla scrivania uno schema di nomi e accanto l’elenco di tutti i senatori. Per lui dai sei agli otto sono già pronti a buttar giù Prodi. Ci mette la mano sul fuoco. Un’altra decina, invece, li considera possibili. C’è anche un ds. A sentire la Biancofiore, ad esempio, le trattative con quelli della Svp già sono molto avanti. Lo “showdown” non è previsto nelle votazioni di questi giorni al Senato. “Sarebbe del tutto inutile - mi ha spiegato il capo - mandare sotto il governo adesso perché non ci sarebbe la crisi, ma si limiterebbero a presentare un altro decreto”. Le danze si apriranno, invece, sulle votazioni sulle pregiudiziali di costituzionalità sulla Finanziaria e andranno avanti per buona parte del mese di novembre. E se c’è la crisi ci saranno pure le elezioni. Chi manda giù Prodi con il suo voto e si rifiuta di aprire la strada al voto rischia, infatti, di diventare un senza casa. Non avrebbe più asilo né nel centro-sinistra, né da noi». Se il piano del Cavaliere è fin troppo chiaro, quello del Professore è alquanto confuso. Naturalmente nelle prossime settimane Prodi continuerà a drammatizzare, ad additare i senatori della maggioranza che potrebbero mandarlo sotto come dei Giuda. «Questo governo - continua a ripetere - può cadere solo per corruzione». Contemporaneamente pensa di rabbonire l’aula di Palazzo Madama aprendo i cordoni della borsa sulla Finanziaria. «Dopo tanti anni - prevede Giulio Tremonti - è la prima finanziaria in stile Pomicino. Invece di ridurre il deficit lo allarga, siamo passati dall’1,8% al 2,4%». Infine c’è l’ultima mossa, quella caldeggiata dalla trimurti istituzionale Napolitano-Marini-Bertinotti. L’apertura a una riforma elettorale sul modello tedesco per lanciare un ponte verso l’Udc e la Lega. Un’ipotesi ad alto rischio per Prodi, visto che gira che ti rigira la sua «testa» potrebbe finire nella trattativa. Inoltre un’«operazione» del genere, con o senza Prodi, per partire ha bisogno dell’ok dell’Udc. Può permettersi un’operazione del genere Casini? Certo da una parte ha la possibilità di far saltare il «bipolarismo» e mettere in piedi un terzo polo. Dall’altra corre il rischio di arrivare indebolito all’appuntamento tanto agognato: ora i sondaggi danno l’Udc dal 4,2 al 3,5%, una conseguenza del dialogo con il centro-sinistra e con un governo impopolare. Un’alleanza più o meno camuffata degli ex-dc con il centro-sinistra per un governo che apra la strada al modello tedesco, gli costerebbe nuove perdite. C’è il rischio che Casini arrivi all’operazione terzo Polo con una legge adatta ma senza voti. Un bel rischio. Forse troppo alto se si pensa che andando al voto ora l’Udc avrebbe buone possibilità di tornare al governo e magari il suo leader potrebbe cimentarsi nel ruolo di ministro degli Esteri. In quella posizione potrebbe recuperare forze, attrarre nella sua orbita i cattolici dell’Ulivo delusi dal Pd e magari rinviare l’appuntamento con il tedesco al «dopo-voto». «Noi - spiega sicuro Luciano Ciocchetti, che conosce la pancia dell’Udc - non entreremo mai in un governo istituzionale senza Berlusconi». E’ quello su cui punta il Cavaliere che ieri ha inviato il suo ambasciatore per antonomasia, Gianni Letta, da Casini: «Capisco Napolitano - osservava ieri Berlusconi - ma in Italia un governo che non abbia i numeri non c’è mai stato». Insomma, rispetto a quello del Cavaliere i piani degli suoi avversari appaiono fin troppi confusi: non si sa se contemplino la sopravvivenza di Prodi, oppure no; pretendono che Veltroni rinunci al bipolarismo ma non gli offrono un quadro di alleanze certo. Di fatto, sono figli più che altro della paura dei vari Marini, D’Alema, Fassino e Rutelli di perdere non solo il governo, ma anche la loro influenza nel Pd. «Un gruppo dirigente - è la chiosa del capogruppo verde Angelo Bonelli - che si è rivelato inadeguato. Che ne ha sbagliate tante. Troppe».
AUGUSTO MINZOLINI

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