martedì 13 novembre 2007

Vista la seconda, la prima repubblica è il paradiso

dal "Riformista" del 13 novembre 2007


Berlusconi insiste nel dire che se c’è crisi di governo spetta a lui dire cosa deve o non deve fare il presidente della Repubblica. L’uomo, evidentemente, non ha il senso del limite e nemmeno del ridicolo. Tratta questioni costituzionali con la stessa disinvoltura con cui racconta barzellette ai suoi ascoltatori che a turno si predispongono ad estasiarsi. Abbia pazienza, Cavaliere. Lei tra l’altro non è più il “capo dell’opposizione” come ama definirsi, anche perché le opposizioni sono più di una e tutte legittime. Un po’ meno quella fascisteggiante di Storace che la ha tanto entusiasmata e che lei ha aiutato. Ma neppure la maggioranza è una sola: non è più l’Unione, ma un insieme di partiti, di gruppi, gruppetti e persone. L’Italia, quindi non può reggere con questa maggioranza e questa opposizione. Il bipolarismo coatto non ha favorito la governabilità e ha premiato la frantumazione. Il fatto su cui ragionare oggi è l’iniziativa di Veltroni di riaprire in concreto un confronto sulla legge elettorale con una proposta nuova - la proporzionale senza premio - che trova consensi e dissensi nei due schieramenti. Anche questo conferma che le coalizioni sono disarticolate e che i vari gruppi hanno posizioni molto diverse non solo sul futuro della legislatura ma sulla riorganizzazione del sistema politico italiano. In questo quadro confuso, la proporzionale è lo strumento di “verifica” più onesto per riqualificare le forze politiche nel momento in cui tutte convocano “costituenti” per ridarsi una identità. Una verifica che va affidata al popolo. E non è vero che non si possono, prima delle elezioni, indicare alleanze, schieramenti e candidati alla presidenza del consiglio: basta volerlo. All’inizio degli anni Sessanta, quando si chiuse la stagione del centrismo, quella di centrosinistra fu annunciata con congressi e patti elettorali. Quando nel 1976 il centrosinistra esaurì il suo ciclo, Moro, De Martino e La Malfa lo annunciarono e i governi di solidarietà nazionale furono al centro di decisioni politiche pubbliche, così come la fine di quella stagione, col congresso della Dc vinto da Forlani; contestualmente nella stessa direzione si mosse Craxi. In quegli anni la durata dei governi spesso, non sempre, fu breve per la lotta politica all’interno dei partiti della coalizione. Come avviene anche oggi, col maggioritario. Se c’è la crisi, quindi, si faccia il possibile e il necessario per contemperare le esigenze di rappresentatività e di governabilità, con accorte modifiche costituzionali, già abbozzate alla Camera, e una legge elettorale che dia ai cittadini il diritto di scegliere, schieramento, partito e persona, negato con la “porcata”. Berlusconi dice che il presidente della Repubblica, qualora a questo governo venisse a mancare la fiducia, non potrebbe dare un incarico a un’altra persona perché il nome dell’attuale presidente del Consiglio sarebbe stato indicato nella scheda elettorale. Questo cancellerebbe il diritto-dovere del capo dello Stato - come è scritto nella Costituzione - di verificare se il Parlamento è in grado di esprimere un governo istituzionale per la riforma elettorale prima di scioglierlo? È una tesi assurda. Invece è necessario passare dagli annunci alle proposte concrete: Veltroni le metta nero su bianco e apra un reale confronto. Il professor Guzzetta leader dei referendari ha dichiarato che con la proposta di Veltroni «si ripropone all’Italia la Prima Repubblica». Non è augurabile, ma in ogni caso sarebbe un paradiso dopo avere sperimentato la cosiddetta Seconda Repubblica.
Emanuele Macaluso

Vista la seconda, la prima repubblica è il paradiso

dal "Riformista" del 13 novembre 2007


Berlusconi insiste nel dire che se c’è crisi di governo spetta a lui dire cosa deve o non deve fare il presidente della Repubblica. L’uomo, evidentemente, non ha il senso del limite e nemmeno del ridicolo. Tratta questioni costituzionali con la stessa disinvoltura con cui racconta barzellette ai suoi ascoltatori che a turno si predispongono ad estasiarsi. Abbia pazienza, Cavaliere. Lei tra l’altro non è più il “capo dell’opposizione” come ama definirsi, anche perché le opposizioni sono più di una e tutte legittime. Un po’ meno quella fascisteggiante di Storace che la ha tanto entusiasmata e che lei ha aiutato. Ma neppure la maggioranza è una sola: non è più l’Unione, ma un insieme di partiti, di gruppi, gruppetti e persone. L’Italia, quindi non può reggere con questa maggioranza e questa opposizione. Il bipolarismo coatto non ha favorito la governabilità e ha premiato la frantumazione. Il fatto su cui ragionare oggi è l’iniziativa di Veltroni di riaprire in concreto un confronto sulla legge elettorale con una proposta nuova - la proporzionale senza premio - che trova consensi e dissensi nei due schieramenti. Anche questo conferma che le coalizioni sono disarticolate e che i vari gruppi hanno posizioni molto diverse non solo sul futuro della legislatura ma sulla riorganizzazione del sistema politico italiano. In questo quadro confuso, la proporzionale è lo strumento di “verifica” più onesto per riqualificare le forze politiche nel momento in cui tutte convocano “costituenti” per ridarsi una identità. Una verifica che va affidata al popolo. E non è vero che non si possono, prima delle elezioni, indicare alleanze, schieramenti e candidati alla presidenza del consiglio: basta volerlo. All’inizio degli anni Sessanta, quando si chiuse la stagione del centrismo, quella di centrosinistra fu annunciata con congressi e patti elettorali. Quando nel 1976 il centrosinistra esaurì il suo ciclo, Moro, De Martino e La Malfa lo annunciarono e i governi di solidarietà nazionale furono al centro di decisioni politiche pubbliche, così come la fine di quella stagione, col congresso della Dc vinto da Forlani; contestualmente nella stessa direzione si mosse Craxi. In quegli anni la durata dei governi spesso, non sempre, fu breve per la lotta politica all’interno dei partiti della coalizione. Come avviene anche oggi, col maggioritario. Se c’è la crisi, quindi, si faccia il possibile e il necessario per contemperare le esigenze di rappresentatività e di governabilità, con accorte modifiche costituzionali, già abbozzate alla Camera, e una legge elettorale che dia ai cittadini il diritto di scegliere, schieramento, partito e persona, negato con la “porcata”. Berlusconi dice che il presidente della Repubblica, qualora a questo governo venisse a mancare la fiducia, non potrebbe dare un incarico a un’altra persona perché il nome dell’attuale presidente del Consiglio sarebbe stato indicato nella scheda elettorale. Questo cancellerebbe il diritto-dovere del capo dello Stato - come è scritto nella Costituzione - di verificare se il Parlamento è in grado di esprimere un governo istituzionale per la riforma elettorale prima di scioglierlo? È una tesi assurda. Invece è necessario passare dagli annunci alle proposte concrete: Veltroni le metta nero su bianco e apra un reale confronto. Il professor Guzzetta leader dei referendari ha dichiarato che con la proposta di Veltroni «si ripropone all’Italia la Prima Repubblica». Non è augurabile, ma in ogni caso sarebbe un paradiso dopo avere sperimentato la cosiddetta Seconda Repubblica.
Emanuele Macaluso

Vista la seconda, la prima repubblica è il paradiso

dal "Riformista" del 13 novembre 2007


Berlusconi insiste nel dire che se c’è crisi di governo spetta a lui dire cosa deve o non deve fare il presidente della Repubblica. L’uomo, evidentemente, non ha il senso del limite e nemmeno del ridicolo. Tratta questioni costituzionali con la stessa disinvoltura con cui racconta barzellette ai suoi ascoltatori che a turno si predispongono ad estasiarsi. Abbia pazienza, Cavaliere. Lei tra l’altro non è più il “capo dell’opposizione” come ama definirsi, anche perché le opposizioni sono più di una e tutte legittime. Un po’ meno quella fascisteggiante di Storace che la ha tanto entusiasmata e che lei ha aiutato. Ma neppure la maggioranza è una sola: non è più l’Unione, ma un insieme di partiti, di gruppi, gruppetti e persone. L’Italia, quindi non può reggere con questa maggioranza e questa opposizione. Il bipolarismo coatto non ha favorito la governabilità e ha premiato la frantumazione. Il fatto su cui ragionare oggi è l’iniziativa di Veltroni di riaprire in concreto un confronto sulla legge elettorale con una proposta nuova - la proporzionale senza premio - che trova consensi e dissensi nei due schieramenti. Anche questo conferma che le coalizioni sono disarticolate e che i vari gruppi hanno posizioni molto diverse non solo sul futuro della legislatura ma sulla riorganizzazione del sistema politico italiano. In questo quadro confuso, la proporzionale è lo strumento di “verifica” più onesto per riqualificare le forze politiche nel momento in cui tutte convocano “costituenti” per ridarsi una identità. Una verifica che va affidata al popolo. E non è vero che non si possono, prima delle elezioni, indicare alleanze, schieramenti e candidati alla presidenza del consiglio: basta volerlo. All’inizio degli anni Sessanta, quando si chiuse la stagione del centrismo, quella di centrosinistra fu annunciata con congressi e patti elettorali. Quando nel 1976 il centrosinistra esaurì il suo ciclo, Moro, De Martino e La Malfa lo annunciarono e i governi di solidarietà nazionale furono al centro di decisioni politiche pubbliche, così come la fine di quella stagione, col congresso della Dc vinto da Forlani; contestualmente nella stessa direzione si mosse Craxi. In quegli anni la durata dei governi spesso, non sempre, fu breve per la lotta politica all’interno dei partiti della coalizione. Come avviene anche oggi, col maggioritario. Se c’è la crisi, quindi, si faccia il possibile e il necessario per contemperare le esigenze di rappresentatività e di governabilità, con accorte modifiche costituzionali, già abbozzate alla Camera, e una legge elettorale che dia ai cittadini il diritto di scegliere, schieramento, partito e persona, negato con la “porcata”. Berlusconi dice che il presidente della Repubblica, qualora a questo governo venisse a mancare la fiducia, non potrebbe dare un incarico a un’altra persona perché il nome dell’attuale presidente del Consiglio sarebbe stato indicato nella scheda elettorale. Questo cancellerebbe il diritto-dovere del capo dello Stato - come è scritto nella Costituzione - di verificare se il Parlamento è in grado di esprimere un governo istituzionale per la riforma elettorale prima di scioglierlo? È una tesi assurda. Invece è necessario passare dagli annunci alle proposte concrete: Veltroni le metta nero su bianco e apra un reale confronto. Il professor Guzzetta leader dei referendari ha dichiarato che con la proposta di Veltroni «si ripropone all’Italia la Prima Repubblica». Non è augurabile, ma in ogni caso sarebbe un paradiso dopo avere sperimentato la cosiddetta Seconda Repubblica.
Emanuele Macaluso

La Destra a sangue caldo sotto il sorriso del Cav.

da "Il Foglio" del 13 novembre 2007

La milizia di Storace restaura e non rinnega. An? Un nostro alleato del Ppe

Roma. Nello scorso fine settimana la Destra di Francesco Storace ha deciso di nascere ufficialmente, con un grido identitario squillante e una quota di vecchia scaltrezza parlamentare. Il paesaggio politico non poteva ignorarlo, il ritorno d’immagine è stato superiore alle aspettative e molto ha influito la presenza di Silvio Berlusconi alla grande festa di fondazione. Del resto il gruppo di Storace conta tre senatori eletti in questa legislatura e in tempi di spallate ha un valore di mercato formidabile. Ci sono poi quattro deputati e due di loro si chiamano Daniela Santanchè, che già di suo fa status, e Teodoro Buontempo, presidente della Destra e antico core della Roma nera periferica (Ostia in particolare). Quindi l’europarlamentare siciliano Nello Musumeci, planato nella capitale con oltre mille seguaci al seguito, come un Totò Cuffaro senza l’alone dc. Infine i gruppi consiliari nelle regioni e negli enti locali (forti nel Lazio, dove Storace ha comandato per cinque difficili anni) affollati di finiani stufi e perfino di leghisti non più ostili all’Italia unita. Ma tutto ciò basta a spiegare, al tempo presente e con un occhio al futuro non remoto, la dimensione dell’iniziativa storaciana? Forse no. Il dato di realtà è che la Destra nasce dentro An e se ne distacca per attrito culturale, per non morire europopolari e sradicati. Se poi esiste un tratto fondante del nuovo partito è che cerca di stare al mondo senza complessi d’inferiorità e sensi di colpa antifascisti. Ce lo conferma il responsabile del programma, Alberto Arrighi, ex deputato finiano per conto del sociale Gianni Alemanno: “Il segnale migliore sta nel ritorno all’interesse attivo verso la politica da parte di moltissime persone di destra disilluse da Alleanza nazionale”. Una riserva sommersa di astensionisti. “E di militanti sopraggiunti in forma omogenea in tutto il paese, mentre noi credevamo di radicarci, almeno all’inizio, quasi soltanto a Roma e nel Lazio”. Adombrati i numeri della milizia, bisogna inevitabilmente ripartire dal trauma con An. Ad Arrighi piace la definizione di “animali a sangue caldo”, lì dove l’attributo di freddezza calcolatrice è spesso rivolto a Fini. “Esemplifica la volontà di rompere con la pratica finiana, con la convinzione perdente per la quale i post missini devono per forza andare avanti attraverso sottrazioni ideali, attraverso continue spoliazioni culturali. Noi non abbiamo nulla di cui vergognarci e molto da recuperare, attualizzandolo”. E “soprattutto – prosegue Arrighi – ci presentiamo senza nulla concedere alle edulcorazioni politicamente corrette, se diciamo che siamo incazzati è per sottolineare il concetto in modo inequivocabile”. La mistica comunitaria di Gentile Punto qualificante della Destra, oltre al buon rapporto col Cav. che è speculare a quello della rifondazione Dc di Gianfranco Rotondi, è l’italianità (pure quella della sinistra nazionale alla Beppe Niccolai) combinata con un occidentalismo che teorizza la centralità della religione nella sua funzione pubblica. Con una venatura clericale. “Più cattolica che cristiana, nel senso evocato da Giovanni Gentile”. La mistica comunitaria del filosofo mussoliniano non esclude altri pensatori emarginati da An. Sul sito del gruppo c’è una segnalazione della “Rivolta contro il moderno” di Julius Evola. Arrighi: “Sì gli evoliani ci sono, e noi proponiamo alla politica un modo diverso d’intendere la modernità”. Non basta prendere Fini, con la sua fondazione intitolata Farefuturo, e capovolgere il tutto? L’obiettivo è più ambizioso. “Vorrei fosse una delle ultime volte che, per autodefinirci, dobbiamo utilizzare An come unità di misura”. Se e quanto la Destra potrà far male a Fini, o se piuttosto non finirà per assomigliare a un’An più piccola e rustica ma senza Fini, lo dimostrerà il primo esame elettorale. Intanto si nota come i “berlusconiani” di An, da Maurizio Gasparri a Ignazio La Russa, pur non dicendo cose diverse da Storace stiano corazzando la propria fedeltà a Fini. Ma per la Destra non è un problema. “Storace l’ha detto: An sarà uno dei nostri alleati non identitari del Partito popolare europeo, come Forza Italia”.

Hina, 30 anni al padre e ai due cognati

da "Corriere" del 13 novembre 2007
Due anni e 8 mesi allo zio per "soppressione" di cadavere. Risarcito il fidanzato della vittima

BRESCIA - Trent'anni di reclusione per il padre di Hina Saleem e per i due cognati della ragazza pakistana. Due anni e 8 mesi allo zio. Questa la sentenza pronunciata per l'uccisione della giovane sgozzata a Sarezzo, nel Bresciano, l'11 agosto 2006 dai suoi familiari perchè voleva vivere all'occidentale. Alla lettura della sentenza la madre di Hina ha dato in escandescenze gridando «me lo ammazzano». Quindi è stata fatta allontanare dall'aula.
ACCOLTE LE RICHIESTE DEL PM - Il Gup del Tribunale di Brescia ha così accolto le richieste del Pm Paolo Guidi. È stato anche deciso di tenere in isolamento Khalid, uno dei due cognati, perchè in carcere avrebbe aggredito il padre di Hina.
LA MADRE IN OSPEDALE - Un'ambulanza del 118 è arrivata in Tribunale a Brescia per soccorrere la madre di Hina. La donna poco dopo la lettura della sentenza è uscita dall'aula iniziando a urlare frasi in pakistano e in un italiano sconnesso. In forte stato di alterazione nervosa, la donna è stata caricata sull'autoambulanza e portata in ospedale.
FIDANZATO RISARCITO - La sentenza ha assegnato 20mila euro a Giuseppe Tempini, il fidanzato della vittima. Soldi che il ragazzo darà in beneficenza. Il gup del tribunale di Brescia ha inoltre confermato, nel processo con rito abbreviato celebrato a porte chiuse, le richieste del pm: 30 anni per il padre e i due cognati di Hina e due anni e otto mesi per lo zio. Il giudice nella sentenza ha riqualificato, inoltre, il reato di occultamento di cadavere in quello di soppressione di cadavere. «Una sentenza attesa - spiega Alberto Bordone avvocato del padre di Hina -. Attendo le motivazioni che dovranno essere depositate entro il 20 gennaio prossimo, poi penseremo al ricorso in appello».

Finanziaria, maggioranza battuta

da "Corriere" del 13 novembre 2007

Passa con 9 voti di scarto un emendamento di An sull'aumento dei fondi per l'Università. Prodi «fiducioso»



ROMA - Governo e maggioranza battuti in senato su un emendamento del senatore di An, Giuseppe Valditara, all'articolo 52 della Finanziaria sull'istituzione di un fondo di 550 milioni per incrementare il finanziamento delle università. L'emendamento, approvato con 161 sì, 152 no e 3 astenuti, puntava ad aumentare di 40 milioni il fondo per aumentare l'assegno di dottorato di ricerca.
LA PRIMA VOLTA - È la prima volta che il centrosinistra va sotto da quando è iniziato l'esame della manovra. Con la Cdl, su questo specifico emendamento, hanno votato anche i senatori dell'Ulivo, Lamberto Dini e Giuseppe Scalera, e quello del gruppo Misto (ex An ed ex Margheria), Domenico Fisichella. Proprio Dini e Fisichella sono considerati due dei parlamentari che potrebbero passare nelle fila del centrodestra e su cui il leader dell'opposizione, Silvio Berlusconi, conta per poter far venire meno il sostegno all'esecutivo (che al Senato conta di un solo voto di vantaggio, oltre ai senatori a vita) e arrivare così alle dimissioni di Prodi.
LE ALTRE DEFEZIONI - Con la Cdl non hanno però votato soltanto gli esponenti dell'area liberale dell'Unione, ma anche due senatori provenienti dalle fila di Rifondazione e ora indipendenti, i «ribelli» Fernando Rossi e Franco Turigliatto, che già in passato avevano preso le distanze dalla linea ufficiale dell'Unione. Si sono invece astenuti i tre senatori socialisti (Angius, Barbieri e Montalbano), mentre Manzione sembra non abbia proprio preso parte al voto.
«MANI LIBERE» - Lamberto Dini ha rivendicato la propria decisione spiegando di non ritenersi vincolato alla posizione ufficiale del centrosinistra. «Mani libere? Continuerò ad averle sempre, ora e dopo», ha detto ai cronisti presenti a Palazzo Madama dopo il voto che ha mandato sotto la maggioranza. Eq uesto, ha spiegato, perché «non siamo nel Pd e non abbiamo nessun vincolo di mandato». «Nodi critici» per l'ex premier rimangono. Non li elenca, ma spiega che grazie ai liberaldemocratici «si stanno facendo dei passi avanti», come sui precari. E aggiunge: «Cerchiamo di limitare i danni e puntiamo a evitare ogni aumento di spesa in generale».
PRODI «FIDUCIOSO» - «Abbiamo preparato tutto bene, per domani sono fiducioso» ha detto il premier Romano Prodi in merito all'esame della legge finanziaria al Senato. Sull'emendamento che ha visto il governo battuto aggiunge: «Non mi sembra un elemento straordinario». «Si è verificato tantissime volte - ha aggiunto il presidente del Consiglio -, anche quando c'erano maggioranze enormi in Parlamento». Insomma, chiude Prodi, «è il voto finale che è importante». Dal premier anche un accenno alla crescita. «Penso non sarà certo nelle percentuali che si desidererebbero ma tendiamo, vedrete, a non essere lontani dal 2% o qualcosa appena sotto al 2%» ha detto Prodi.
NESSUNO SCOSSONE - E lo «scivolone» viene minimizzato anche da altri esponenti del governo, dove si spiega che quello che è accaduto non comporta alcun «significato politico». «Nessun significato politico - puntualizza Giampaolo D'Andrea, sottosegretario ai Rapporti con il Parlamento - vista la composizione di coloro che hanno votato a favore. Anche se c'è stato il soccorso di alcuni esponenti della maggioranza, poi però la maggioranza ha votato tutto l'articolo così emendato. Significa che l'emendamento in questione non è alternativo al testo». Per D'Andrea, però, possono esserci problemi di copertura.
«COME SARKOZY E ZAPATERO» - Soddisfatto invece lo stesso Giuseppe Valditara, autore dell'emendamento sui fondi all'Università: «È una grande vittoria per l'Università italiana. Si premia il merito, si privilegia la qualità dei giovani che si impegnano nella ricerca, finora dimenticata e vituperata dal governo di centrosinistra, che oggi siamo riusciti a battere nell'Aula del Senato». «Si tratta - aggiunge il senatore di An - di una misura già adottata in Francia da Sarkozy e da Zapatero in Spagna e che il nostro governo invece voleva rinviare derubricandola con un semplice ordine del giorno che, come sappiamo, non vale nulla. Ringraziamo quei senatori della maggioranza che hanno accolto con convinzione la nostra proposta che rappresenta un segnale forte per il futuro».

lunedì 12 novembre 2007

Agente spara, muore tifoso della LazioIl

da "La Stampa" del 11 novembre 2007

Questore: "E' stato un tragico errore". Gabriele Sandri, dj romano: è stato ucciso in un'area di servizio nei pressi di Arezzo

Gabriele Sandri colpito in un'area di sosta nei pressi di Arezzo. Rinviate Inter-Lazio e Roma e Cagliari. Sospesaper scontri la partita Atalanta-Milan
AREZZOUn ragazzo di 26 anni, Gabriele Sandri, è morto dopo uno scontro tra tifosi in un'area di servizio lungo l'A1, nel territorio di Arezzo. Il giovane è stato colpito da un colpo d'arma da fuoco esploso da un poliziotto. La vittima è un tifoso laziale. Il giovane è stato raggiunto da un colpo di pistola nell'area di servizio di Badia al Pino, dove si sono scontrati ultras della Lazio, diretti a Milano, e tifosi della Juventus in viaggio verso Parma.La vittima, un dj romanoGabriele Sandri era un noto dj della capitale e e amico di alcuni giocatori biancocelesti. Si stava recando a Milano insieme a tre amici per assistere alla partita della Lazio con l'Inter. Il giovane, oltre a fare il dj, aveva anche un negozio di abbigliamento a Roma. Sandri era un abbonato alla Lazio e che seguiva la squadra in tutte le trasferte. I suoi amici dicono che non era un supporter accanito e che non seguiva più da un pò di tempo le tifoserie. Sul suo blog lo ricordano come «un tifoso ma non un violento».La dinamica dei fattiA sparare è stato un agente della Polstrada, intervenuta per sedare la rissa tra i tifosi biancocelesti e juventini. L'agente ha una trentina di anni e diversi anni di esperienza in polizia. Da una prima ricostruzione sembrerebbe che l'agente era in auto con un collega nella corsia opposta a quella dove si trova l'autogrill. Accortisi della rissa, i poliziotti avrebbero fermato la macchina e attraversato l'autostrada. L'agente, sempre secondo quanto è stato possibile apprendere, avrebbe sparato due colpi, da una lunga distanza, uno dei quali avrebbe colpito il tifoso della Lazio. L'avvocato: «Colpito al collo mentre era in auto» Simile la ricostruzione dell'avvocato. Secondo il legale Gabriele Sandri sarebbe stato colpito nella parte posteriore del collo, mentre si trovava in auto. L'avvocato Luigi Conti, arrivato alla caserma della polizia stradale di Arezzo, si è qualificato come un amico della famiglia della vittima. Sempre secondo quanto spiegato, il proiettile sarebbe entrato nella vettura, una Megane, infrangendo il lunotto posteriore sinistro. L'auto, dopo l'accaduto è stata portata alla caserma della polizia stradale di Arezzo, con all'interno la salma. Il corpo di Sandri è stato poi rimosso intorno alle 13.30. La rabbia dei tifosi: «Assassini»Un gruppo di circa quindici tifosi della Lazio si è poi recato davanti alla caserma della polstrada di Arezzo, dove si trovano gli investigatori che indagano sulla morte di Gabriele e dove c'è anche il fratello della vittima. Gli ultras hanno urlato «Assassini, assassini» nei confronti della polizia. Il grido è partito quando davanti all'ingresso della caserma è arrivata una camionetta della polizia seguita da un carro attrezzi. I tifosi laziali, che non fanno parte del gruppo che si trovava con Sandri quando il giovane è stato colpito nell'area di servizio di Badia al Pino, sono arrivati ad Arezzo da Roma dopo aver saputo della morte del giovane.Il questore: «Un tragico errore» «E' stato un tragico errore», ha detto il questore di Arezzo Vincenzo Giacobbe in riferimento alla morte del giovane avvenuta nell'area di servizio di Badia al Pino: «Il nostro agente era intervenuto per evitare che i tafferugli tra due esigui gruppi di persone, che non erano stati individuati come tifosi, degenerassero con gravi conseguenze per entrambi. Esprimo profondo dolore e sincere condoglianze alla famiglia della vittima».Oggi l'autopsia, si cerca ancora il bossoloin programma oggi pomeriggio ad Arezzo l’autopsia sulla salma di Gabriele Sandri, il 28enne tifoso laziale ucciso ieri mattina da un proiettile, nell’area di servizio dell’A1 Badia al Pino (Ar). Ieri pomeriggio il questore di Arezzo Vincenzo Giacobbe ha confermato che un agente della Polizia Stradale di Battifolle ha esploso due colpi di pistola in aria a scopo intimidatorio, per sedare una rissa tra tifosi laziali e juventini nell’area di servizio, e ha confermato che Gabriele Sandri è stato ucciso da un proiettile, ma non ha messo ufficilamente in relazione i due fatti. L’autorità giudiziaria ha nominato un perito balistico e un medico legale per gli accertamenti di rispettiva competenza. La vicenda deve essere ancora ricostruita. Il bossolo che ha ucciso il tifoso laziale non è stato ancora trovato. Secondo alcuni supporter biancocelesti che hanno assistito alla scena, a esplodere il colpo sarebbe stato l’agente, che ha sparato alla macchina dall’area di servizio opposta a quella in cui si trovava la Renault Megane Scenic dove viaggiavano la vittima e i suoi cinque amici. L’agente coinvolto e i quattro amici di Gabriele Sandri sono stati ascoltati ieri dal pm di Arezzo Giuseppe Ledda, che conduce le indagini.

mercoledì 7 novembre 2007

Giuliani riapre la sfida tra neocon e teocon

6 Novembre 2007 Il Foglio


New York. La candidatura presidenziale di Rudy Giuliani alle primarie del Partito repubblicano ha riavviato l’antico dibattito interno alla destra americana tra neocon e teocon e ha aperto una vivace discussione pubblica se sia più urgente combattere il fascismo islamico o l’aborto americano. Le chance presidenziali di Giuliani e del Partito repubblicano dipendono da quale dei due argomenti prevarrà. L’ex sindaco di New York è (con John McCain) il più feroce avversario del fondamentalismo terrorista, ma è anche l’unico repubblicano favorevole a lasciare alle donne il diritto di interrompere la gravidanza. Se gli elettori repubblicani si convinceranno che è più importante sconfiggere la minaccia islamista, come a oggi segnalano i sondaggi, Giuliani otterrà la nomination ma, in ogni caso, rischia che la questione abortista convinca la destra religiosa a presentare alle elezioni generali un candidato indipendente che dividerà il voto conservatore e riconsegnerà la Casa Bianca ai democratici.Sebbene per la stampa italiana i neocon e i teocon siano sinonimi, si tratta invece di due gruppi culturalmente, politicamente e ideologicamente diversi. I neoconservatori provengono dal mondo liberal e sono convinti che l’America sia un paese speciale perché è stato fondato su un’idea – l’impegno per i diritti dell’uomo scolpito nella Dichiarazione d’indipendenza – e non sull’affiliazione etnica o religiosa. Anche i conservatori cristiani credono che l’America sia stata fondata intorno a un’idea, ma pensano che questa idea sia il cristianesimo. I neocon non sono contrari al ruolo pubblico della religione, anzi credono che una società ben costruita ne abbia bisogno, ma non fino al punto che lo stato debba dotarsi di codici ispirati alla legge di Dio.La tensione tra i due gruppi non è nuova, sebbene Ronald Reagan fosse riuscito a tenerli sotto lo stesso tetto, grazie al comune interesse di sconfiggere l’impero del male comunista e ateo. Nel 1996 lo scontro è esploso intorno all’idea, propagandata dalla destra religiosa, secondo cui la legalizzazione dell’aborto e dei diritti gay da parte del potere giudiziario, in aperto contrasto con le scelte delle assemblee elettive, potesse in sé giustificare una rivoluzione. I neoconservatori erano d’accordo nell’analisi del ruolo politico e militante del potere giudiziario, ma non hanno ceduto di un millimetro in difesa della Costituzione e della loro idea dell’America. L’11 settembre ha risanato la ferita su posizioni neocon, anche se alcuni tra i più radicali leader della destra religiosa (Jerry Falwell e Pat Robertson) all’indomani hanno imputato l’attacco alla tolleranza dell’aborto e dell’omosessualità, come se quegli aerei dirottati fossero una retribuzione divina alla perversione della società americana.La candidatura di Rudy Giuliani ha riaperto questo dibattito. Nei giorni scorsi National Review ha pubblicato un articolo di David Klinghoffer che accusa i sostenitori ebraici di Giuliani, cioè i neoconservatori Norman Podhoretz, Michael Rubin, David Frum, Peter Berkowitz e Daniel Pipes, di elevare la minaccia terroristica a danno delle questioni morali interne, cioè all’aborto. Klinghoffer, anche lui ebreo, contro la linea neocon ha schierato i Profeti delle scritture ebraiche, peraltro oggetto di un famoso studio di Norman Podhoretz di qualche anno fa. Klinghoffer ha ricordato che Geremia, Ezechiele e Isaia all’antico popolo di Israele consigliavano di correggere i comportamenti morali e spirituali perché la minaccia vera non era quella esterna dei babilo-fascisti o degli assiro-fascisti, ma quella della corruzione interna. I Profeti, scrive, sostenevano che la migliore difesa contro la minaccia straniera fosse la fedeltà ai comandamenti e che nel contesto della corrotta cultura morale di Israele, resistere a Babilonia sarebbe stato inutile. “Geremia – continua Klinghoffer – ha insegnato che la vera priorità era la purificazione della cultura, di cui la difesa contro Babilonia era soltanto un’espressione secondaria”. Secondo lo studioso del Discovery Institute, il centro di Seattle dedicato al Disegno Intelligente, “rispondere preventivamente al terrorismo islamico, sia quello di al Qaida sia quello iraniano, resta un obiettivo necessario e prudente, su cui un contendente presidenziale deve certamente avere un piano, ma negare l’orizzonte morale interno del paese non è né responsabile né saggio per combattere la Quarta guerra mondiale”. Rudy Giuliani e i suoi consiglieri neoconservatori non sono d’accordo.
Christian Rocca

Lenin e le bestialità di Diliberto

07 Novembre 2007

La mummia di Lenin «potremmo portarla a Roma» se, nella Russia postsovietica di Vladimir Putin, il Cremlino decidesse di rimuoverla. Oliviero Diliberto, nostalgico segretario del Partito dei comunistri Italiani lancia la sua provocazione , dopo aver depositato dei fiori al mausoleo di Vladimir Ilyich Ulyanov. L'On. Di Liberto, ospite di Gennady Ziuganov primate del Pc russo è a Mosca per la commemorazione dei 90 anni della Rivoluzione d'ottobre.
Netta reazione della classe politica italiana. Volontè capogruppo dell'Udc alla Camera afferma: "La porti a casa sua, l'Italia non può certo permettersi di diventare un ricettacolo di emuli dei genocidi comunisti d'Europa".
Chi invece la butta sul ridere è Maurizio Gasparri di An che propone uno scambio tra la mummia di Lenin e Diliberto: "Comunque è davvero triste avere personaggi così squalificanti per il nostro paese che girano nel mondo". Ma anche a sinistra la battuta di Diliberto non suscita consensi. "Noi siamo qui a parlare dei problemi e del rilancio della sinistra ma c'è qualcuno che pensa a dove collocare la salma di Lenin..." taglia corto il segretario di Rifondazione Franco Giordano. Di tutt'altro avviso il capogruppo del Pdci alla Camera Pino Sgobio: "A novant'anni dalla rivoluzione d'ottobre, Lenin evidentemente fa ancora paura sia agli anticomunisti. Tutto questo è la dimostrazione che il comunismo è ancora il futuro".

Enzo Cimino

Tariceanu: «Dobbiamo comunicare»

da "Corriere" del 07 novembre 2007

Bucarest: «Momento delicato. Governo italiano equilibrato, ma protegga i nostri concittadini»

Il premier rumeno, Tariceanu «È un momento difficile e delicato, ora dobbiamo comunicare». E' un invito alla collaborazione quello lanciato dal premier romeno Calin Popescu Tariceanu pochi minuti prima di imbarcarsi sull'aereo che da Bucarest lo conduce a Roma dove oggi incontrerà il presidente del consiglio, Romano Prodi. Il capo del governo rumeno mette da parte le polemiche dopo il disappunto espresso nei giorni scorsi dal presidente della Romania, Basescu, che ha condannato il decreto sicurezza e in particolare le modalità con cui avverrebbero le espulsioni, giudicate una misura fomentatrice di odio nei confronti della popolazione romena.
«DISCUTIAMO DA AMICI» - Taricenau, che a sua volta aveva espresso dubbi sui contenuti del provvedimento, si dice oggi pronto al confronto e ai giornalisti italiani che lo hanno interpellato all'aeroporto ha rilasciato dichiarazioni estremamente diplomatiche. «Ho molto apprezzato la posizione del governo italiano, molto equilibrata nel tragico contesto dei fatti di Roma» ha detto Taricenau, spiegando di attendersi una discussione con l'Italia «come veri partner, così come accaduto in passato».
«ALLARME XENOFOBIA» - Taricenau ha però definito «assolutamente preoccupante» l'ondata di xenofobia in Italia nei confronti dei romeni e ha sottolineato che la maggioranza sono comunque «cittadini onesti, e io chiederò al governo italiano di proteggerli». Infine, il primo ministro romeno ha ricordato le misure varate dal suo governo per fronteggiare i problemi dell'immigrazione: «Sono state prese misure per rassicurare la maggioranza dei romeni in Italia - ha detto - per garantire l'assistenza giuridica gratuita ai romeni coinvolti in fatti criminali». Il governo romeno ha inoltre intenzione di aprire «molti più consolati in Italia».
L'INCONTRO CON IL PAPA - Il capo del governo di Bucarest ha tra l'altro in agenda per oggi anche l'incontro con Papa Benedetto XVI: al termine dell'udienza generale, in una saletta attigua all'aula Paolo VI in Vaticano, Tariceanu vedrà il pontefice e gli esprimerà il ringraziamento ufficiale della Romania per quanto la Chiesa fa per sostenere gli immigrati e educare a sentimenti di tolleranza e integrazione.
EQUILIBRI DIFFICILI - Anche il governo italiano, del resto, ha sembra orientato a non alimentare le tensioni. Il ministro dell'Interno, Giuliano Amato, ha fatto sapere che non ci saranno espulsioni di massa. La questione è delicata anche sul piano politico interno: da un lato l'opposizione chiede una restrizione delle maglie per gli ingressi dalla Romania e interventi seri sul fronte dell'espulsione dei soggetti indesiderati; dall'altro Rifondazione comunista minaccia di far mancare il proprio sostegno qualora il decreto non venga ammorbidito non inserendo, ad esempio, la mancanza di un reddito tra le motivazioni idonee a determinare gli allontamenti forzati.
«UE COLTA DI SORPRESA» - Intanto anche Prodi parla della questione rumena e lo fa con un'intervista al Financial Times in cui spiega che «l’affluenza dei romeni ha colto l’Unione europea di sorpresa». Su quanti siano i romeni entrati in Italia da quando la Romani è entrata in Europa il 1 gennaio scorso, Prodi risponde: «Nessuno lo sa». L’ex presidente della Commissione europea difende il principio della libera circolazione dei cittadini europei, sottolineando che l’Italia ha un disperato bisogno di manodopera straniera. «Ripeto sempre che questo è il miglior modo per esportare la democrazia», insiste il nostro primo ministro. Qualche generazione fa, erano gli italiani - ricorda Prodi - a lasciare il loro paese in cerca di lavoro. Sono circa 3 milioni gli immigrati arrivati nel Belpaese: «Psicologicamente e socialmente, la velocità e l’impatto sono incredibili», aggiunge, ma anche lui, come Amato, promette che «non ci saranno espulsioni di massa». Poi, in mattinata, recandosi alla Camera per votare il nuovo capogruppo dell'Ulivo in sostituzione di Franceschini, a proposito dell'incontro con il suo omologo rumeno comenta: «Abbiamo preparato le cose seriamente, quindi sono sereno».

Addio a Enzo Biagi, domani i funerali nel Bolognese

da "Unità" del 06 novembre 2007


Enzo Biagi è morto poco dopo le otto di martedì 6 novembre, a 87 anni, nella clinica Capitanio di Milano, dove era ricoverato da una decina di giorni. Al momento del decesso del popolare giornalista e scrittore c'erano al capezzale le due figlie Bice e Carla, e i generi di Biagi. Contrariamente a quanto accaduto nelle sere passate, le due figlie avevano trascorso la notte nella propria abitazione. I funerali del giornalista saranno celebrati giovedì a Pianazzo in provincia di Bologna: «Lo portiamo nel posto da dove lui diceva sempre di non essere mai partito», ha detto la figlia Bice. Testimone del secolo che come pochi altri ha saputo declinare la sua vocazione al giornalismo in tutti i media - dalla carta stampata, ai libri, alla tv, Enzo Biagi nasce a Lizzano in Belvedere, un paese dell'Appennino tosco-emiliano in provincia di Bologna, il 9 agosto del 1920. Figlio di una famiglia non abbiente, inizia la carriera giornalistica appena diciottenne al Resto del Carlino, senza per questo interrompere gli studi. A 21 anni diventa professionista, poi viene richiamato alle armi e l'8 settembre 1943, per non aderire alla Repubblica di Salò, si unisce ai gruppi partigiani. Il 21 aprile del '45 entra a Bologna con le truppe alleate e annuncia dai microfoni della Pwb la fine della guerra. Nel 1952 viene chiamato al settimanale «Epoca», di cui diventa direttore e in questi anni inizia la sua collaborazione con la Rai. Nel 1961 va a dirigere il Tg e l'anno seguente fonda il primo rotocalco televisivo. Lasciata la direzione del Tg passa a La Stampa come inviato dove rimarrà una decina di anni, poi in seguito la sua firma comparirà tra l'altro su La Repubblica, Il Corriere della sera e Panorama. Ma non abbandona la Rai a cui collabora dando vita a numerose trasmissioni - Dicono di lei, Proibito, Film dossier, Linea diretta, Spot, Il caso, per citarne solo alcune - in cui è soprattutto stato a colloquio con grandi personaggi del secolo. Dal 1991 dà vita ad un programma ogni anno: il suo lavoro per la radiotelevisione pubblica si conclude il 31 maggio del 2002 con l'ultima puntata del programma 'Il Fattò, appuntamento quotidiano di grande ascolto in onda per oltre 700 puntate dal 1995. La trasmissione chiude dopo le polemiche legate alle accuse di faziosità che gli vengono rivolte dal presidente del consiglio Silvio Berlusconi per l'intervista a Roberto Benigni. Sino a quest'anno le sue apparizioni televisive sono state soltanto due su Raitre, come ospite a "Che tempo che fa" da Fabio Fazio e a "Primo piano". Quindi torna per l'ultima volta a avere una trasmissione in Rai nel 2007, che emblematicamente ha il titolo della sua prima: "Rt-Rotocalco televisivo". È autore di un'enorme mole di studi a carattere storico e documentaristico, ma anche tra memoria e narrazione, che comprende oltre 80 titoli.

lunedì 5 novembre 2007

Palermo, catturati i boss Lo Piccolo

da "Corriere" del 05 novembre 2007

Salvatore e Sandro, padre e figlio, presi durante un "summitit" di mafia. Grasso: erano eredi di Provenzano
NOTIZIE CORRELATE
AUDIO - Forgione (Antimafia): «Ora le mani sui patrimoni dei boss»

Foto segnaletica di Sandro Lo Piccolo catturato assieme al padre, il boss Salvatore Lo Piccolo considerato l'«erede» di ProvenzanoPALERMO- Colpo ai vertici di Cosa Nostra. La polizia ha catturato in una villetta tra Cinisi e Terrasini, nel Palermitano, i boss latitanti Salvatore e Sandro Lo Piccolo. Con i due, padre e figlio, sono stati presi anche i latitanti Gaspare Pulizzi e Andrea Adamo. I quattro, arrestati dagli uomini della «Catturandi» in una villetta tra Cinisi e Terrasini figuravano tutti tra i trenta maggiori ricercati d'Italia. Salvatore Lo Piccolo in particolare, latitante dal 1983, era ritenuto al vertice di Cosa Nostra palermitana. Dopo la cattura di Bernardo Provenzano infatti, avrebbe assunto il controllo dell'organizzazione criminale contendendo la leadership a Matteo Messina Denaro, boss latitante del Trapanese. E la conferma arriva dal procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso: «Salvatore Lo Piccolo - ha detto Grasso - in questo momento era l'unico in grado di raccogliere l'eredità di Provenzano e quindi era il vertice di Cosa nostra palermitana e stava tentando la scalata al vertice dell'organizzazione».
ADAMO E PULIZZI - Anche gli altri due capimafia catturati nell'operazione, Andrea Adamo e Gaspare Pulizzi, vengono indicati dagli investigatori come boss di prima grandezza. Adamo sarebbe il nuovo reggente del rione Brancaccio, tradizionale feudo di Cosa Nostra, mentre Pulizzi controllerebbe il paese di Carini.
IL BLITZ - Una quarantina i poliziotti della sezione «Catturandi» della Polizia di Palermo impegnati nella cattura dei boss Salvatore e Sandro Lo Piccolo, Gaspare Pulizzi e Andrea Adamo. I poliziotti dopo aver circondato la villetta nei pressi di Carini, per evitare la fuga dei ricercati che erano riuniti in un garage ed erano armati, avrebbero pure esploso alcuni colpi di pistola. Gli agenti della Catturandi hanno seguito due favoreggiatori dei boss (arrestati anche loro), che li hanno portati alla villetta. Qui è scattato il blitz. Nel covo sono state rinvenute armi e munizioni, denaro e documenti che sono al vaglio degli investigatori. Le indagini sfociate nella cattura didei Lo Piccolo sono state condotte dai pm Nico Gozzo, Gaetano Paci e Francesco Del Bene. L'inchiesta è stata coordinata dal procuratore aggiunto Alfredo Morvillo.
«TI AMO PAPA'» - Salvatore e Sandro Lo Piccolo sono rimasti barricati per qualche minuto nella villetta dove era in corso un summit mafioso. Padre e figlio si sono arresi dopo che gli agenti hanno sparato alcuni colpi d'arma da fuoco in aria a scopo intimidatorio. Quando è stato arrestato Sandro ha ripetuto in lacrime: «Ti amo papà».
Salvatore Lo Piccolo in una immagine di repertorio (Ansa)VILLE AL MARE - I boss mafiosi Salvatore e Sandro Lo Piccolo sono stati arrestati in due vere e proprie abitazioni tra Cinisi e Terrasini: non in un casolare immerso nelle campagne, come invece accadde con Bernardo Provenzano dunque, ma in appartamenti veri e propri, anche se periferici, vicino al mare.
«ESTREMAMENTE SODDISFATTI» - «Siamo estremamente soddisfatti. I personaggi arrestati non sono solo latitanti ma capimafia che esercitavano il loro potere sul territorio». Queste le aprole del procuratore di Palermo Francesco Messineo. Ci attendiamo adesso una serie di conseguenze positive di disarticolazione dell'apparato criminale - ha aggiunto - ed anche sul piano di possibili collaborazioni di imprenditori e commerciati, venuto meno il sostegno dei boss catturati». «Un riconoscimento particolare - ha concluso Messineo - va alla polizia e alla grande professionalità dimostrata nel condurre questa operazione».
CUFFARO - «Un plauso alla polizia di stato ed in particolare agli uomini della squadra Catturandi della Squadra Mobile di Palermo» è stato espresso dal governatore della Sicilia Salvatore Cuffaro. L'auspicio del presidente della Regione è che la cattura dei Lo Piccolo rappresenti un «colpo mortale definitivo a Cosa Nostra». «L'arresto dei boss Salvatore e Sandro Lo Piccolo e di Andrea Adamo e Gaspare Pulizzi, scovati durante un summit di mafia in un comune alle porte di Palermo, è un successo di cui tutti i siciliani sono fieri ed orgogliosi» ha detto Cuffaro.
BORSELLINO E ORLANDO - «La cattura di Sandro e Salvatore Lo Piccolo sono il risultato del lavoro della Dda, nonostante le difficoltà di mezzi e risorse». Così Rita Borsellino, esponente dell'Unione e sorella del magistrato Paolo ucciso Da Cosa Nostra. «Dopo Provenzano e in attesa della cattura di Matteo Messina Denaro, l'arresto dei Lo Piccolo è un colpo importante alla criminalità mafiosa» ha dichiarato Leoluca Orlando, portavoce nazionale dell'Idv, che ha espresso il proprio apprezzamento per il lavoro del capo della Polizia di Stato e alla Questura di Palermo.

mercoledì 31 ottobre 2007

"Dopo Prodi", il 57% vuole le elezioniPd, l'alleato preferito è Di Pietro

da "Repubblica" del 30 ottobre 2007

L'Idv piace a 7 democratici su 10, la sinistra radicale a 5. Solo 3 approvano il rapporto con l'Udeur e molti preferirebbero


Nuove elezioni: è questa la soluzione preferita dagli italiani in caso di caduta del governo. La fragilità della maggioranza, al Senato, e i conflitti che animano la coalizione rendono la tenuta dell'esecutivo una questione sempre attuale. Per questo, una indagine Demos-Eurisko ha sondato, per "la Repubblica", le preferenze degli elettori rispetto ai diversi scenari del "dopo-Prodi". Gli orientamenti degli intervistati delineano una situazione fluida circa la geometria delle alleanze e gli stessi confini degli schieramenti. In particolare, gli elettori del neonato Pd confermano il patto con le forze della sinistra radicale e con l'Italia dei Valori di Di Pietro.

Più difficile appare oggi il rapporto con l'Udeur, tanto che quasi un elettore su due, pur respingendo l'ipotesi di una "grande coalizione", vede con favore una futura intesa con l'Udc di Casini. Il dopo Prodi. Un governo di larghe intese è la soluzione preferita dal 16% degli intervistati. Un nuovo governo di centrosinistra, invece, è visto con favore dal 13%, ma questa percentuale sale fino al 31% tra gli elettori dell'Unione e coinvolge oltre un elettore su tre del Partito Democratico. Tuttavia, la soluzione preferita dall'opinione pubblica è il ricorso alle urne (57%). Questo dato tocca la sua punta massima proprio tra gli elettori di centrodestra (73%), mentre più contenuta (42%) è la quota tra coloro che dichiarano il proprio voto per l'Unione, in generale (e il Pd, in particolare: 40%). La prospettiva di elezioni anticipate (o di un nuovo governo) rende interessante comprendere se e in che modo muteranno gli attuali assetti dell'Unione e della CdL. In particolare, per un partito "nuovo", come quello di Veltroni, si apre la questione delle alleanze "possibili". Il sondaggio ha indagato quali forze siano maggiormente gradite dall'elettorato del Pd in un'ottica di coalizione.
Le alleanze del Partito Democratico. L'Italia dei Valori di Di Pietro è "scelta" come alleato da sette elettori del Pd su dieci. Seguono le forze della Sinistra (Rifondazione Comunista, i Verdi, il Pdci) che un elettore del Pd su due vede come possibili partner. L'elettorato del Pd, dunque, si presenta aperto rispetto alle formazioni che compongono l'attuale maggioranza di governo: l'unica eccezione, in questo senso, sembra riguardare l'Udeur. Appena il 29% confermerebbe l'intesa con il partito del Guardasigilli, cui viene preferita l'alleanza con l'Udc di Casini. Ben il 46% degli intervistati si dice pronto, infatti, a rivedere la maggioranza uscita dal voto del 2006, superando, al centro, l'attuale perimetro dell'Unione. Solo una piccola componente, invece, immagina intese ancora più "larghe": l'8% "aprirebbe a Forza Italia e appena il 3% alla Lega Nord. Va sottolineato, allo stesso tempo, come una componente non trascurabile, fra i "democratici", ribadisca la vocazione "maggioritaria" del partito: il 38%, infatti, sarebbe disponibile a sostenere una competizione elettorale solitaria, senza concludere alleanze "preventive". La prospettiva degli alleati. La stessa questione, infine, è stata affrontata dal punto di vista degli attuali partner del Pd, rilevando come i loro sostenitori valutino le possibili alleanze della formazione guidata da Veltroni. Rispetto al totale dell'elettorato dell'Unione, la Sinistra Radicale si orientata maggiormente verso una conferma dell'attuale alleanza di governo, anche se con una "sostituzione al centro" tra Udc e Udeur. Anche fra coloro che destinano il proprio voto agli "altri partiti" del centro-sinistra, le preferenze rispondono ad una logica di riedizione dell'attuale maggioranza, sebbene anche in questo segmento la difficile "coabitazione" con l'Udeur sembri richiamare le tensioni di questi giorni.

Monaci di nuovo in strada in Birmania

dal "Corriere" del 30 ottobre 2007

Manifestazione di un centinaio di religiosi nel nord del paese. Giunta sotto accusa: «arruola i bambini»

RANGOON - Per la prima volta, dopo le violente repressioni delle manifestazioni anti-governative dello scorso mese, un centinaio di monaci buddisti è sceso di nuovo in strada, intonando canti, nel nord della Birmania. I monaci, che hanno sfilato recitando preghiere per circa un’ora, sono partiti dalla pagoda Shwegu, a Pakokku, un centro con oltre 80 monasteri, che si trova a oltre 600 chilometri a nord ovest di Rangoon. La manifestazione si è svolta senza incidenti, hanno detto due monaci contattati telefonicamente, che hanno parlato in condizione di anonimato.
«BAMBINI ARRUOLATI NELL'ESERCITO» L'’organizzazione americana per la difesa dei diritti dell’uomo Human Rights Watch (Hrw) ha accusato la giunta militare birmana di arruolare bambini nelle sue forze armate. Secondo Hrw, i reclutatori del governo arruolano i bambini a causa del «continuo ampliamento dell’esercito, l’elevato tasso di diserzione e la mancanza di volontari». «I reclutatori militari e i mediatori civili ricevono pagamenti in contanti e altri incentivi per ogni nuova recluta, anche se il reclutamento viola palesemente l’età minima o i criteri di salute», dice Hrw nel suo rapporto di 135 pagine.
NUOVA MISSIONE ONU - L'inviato speciale delle Nazioni Unite per la Birmania, Ibrahim Gambari, compirà la sua seconda missione birmana a partire dal prossimo fine settimana, dal 3 all'8 novembre, secondo quanto rivelano fonti diplomatiche occidentali a Rangoon.

domenica 28 ottobre 2007

L’anomalia oggi non sono il Pd e Forza Italia ma tutti gli altri partiti

da "Il Foglio" del 27 ottobre 2007

Per Rusconi in Italia manca il carisma delle istituzioni. Per Gualtieri, partito senza tessere uguale partito senza voti

Roma. Oggi si riunisce per la prima volta l’assemblea costituente del Partito democratico. Una nuova forza politica dal nome americano e dalla gestazione un po’ sudamericana, con 2.800 costituenti eletti su liste bloccate e qualche confusione nel calcolo dei voti e nell’assegnazione dei seggi (più che comprensibile, peraltro, vista la mole dell’assemblea e la complessità del sistema elettorale). Del resto, un po’ americano e un po’ sudamericano è anche l’altro grande protagonista del nostro sistema politico: Forza Italia. La novità e l’anomalia della situazione salta agli occhi. In tutta Europa i due principali partiti si chiamano socialisti e popolari (o laburisti e conservatori). “L’anomalia non sta nel Partito democratico, né in Forza Italia, ma nel permanere di tutti gli altri, e nel proliferare dei micropartiti personali”, dice lo storico Gian Enrico Rusconi. “Se il Partito democratico sarà veramente un partito, e se sarà anche veramente democratico – dice Roberto Gualtieri, che oltre a essere uno storico è anche membro della costituente del Pd – allora vuol dire che in Europa ci stiamo tornando, non che ce ne stiamo allontanando”. Novità o anomalia del sistema politico italiano, la nascita del Partito democratico dovrebbe aprire una “nuova stagione”, secondo il felice slogan veltroniano, che è anche una delle poche cose su cui nel Pd sono tutti d’accordo. Ma aprire una nuova stagione, se le parole hanno un senso, comporta chiuderne un’altra, e su questo a essere d’accordo sono molti di meno. Soprattutto, a quanto pare, su quale sia la stagione da chiudere: quella del bipolarismo rissoso e delle coalizioni eterogenee (come ha detto Walter Veltroni parlando di “partito a vocazione maggioritaria”) o invece, ancora, la vecchia stagione dei partiti, con le loro correnti, le loro dinamiche, i loro pacchetti di tessere? La proposta del Foglio di un “partito senza tessere” ha raccolto molti autorevoli consensi, da Francesco Rutelli a Dario Franceschini, e lo stesso Veltroni si è detto molto interessato. Ma subito sono arrivati i distinguo, e anche il netto rifiuto di chi, come Pierluigi Bersani, non vuole “un partito liquido”. Probabile, dunque, che i costituenti si orientino sulla solita via di mezzo. “Il partito facciamolo moderno finché si vuole, ma purché sia tutti i giorni in tutti i luoghi – ha detto per esempio Bersani a Otto e Mezzo – altrimenti chi è che decide, il leader da solo?”. Non basta l’investitura del leader Un giudizio simile viene da Gualtieri, convinto che la costituente non potrà ridursi “all’investitura plebiscitaria di un leader, che poi magari dovrebbe ‘fuggire col malloppo’, assumendo il controllo totalitario del Pd e costruendo un partito senza aderenti, senza correnti, senza niente”. Ipotesi che non può affascinare il neosegretario, sostiene Gualtieri, perché condurrebbe a “un partito non solo senza tessere, ma soprattutto senza voti, destinato a durare ben poco”. Il problema, osserva Rusconi, sta nell’impropria “identificazione di americanismo e veltronismo, che sono due cose diverse”. Il veltronismo sarebbe una sorta di aspirazione “letteraria” al modello americano, ma “senza le basi istituzionali, politiche e culturali di quel modello”. Personalizzazione e approssimazione. Colpa, s’intende, più dell’informazione che di Veltroni. “Negli altri paesi, a partire dall’America – spiega Rusconi – c’è qualcosa che potremmo chiamare ‘carisma delle istituzioni’, per cui il presidente degli Stati Uniti è sempre il presidente, chiunque egli sia. E questo è un grande fattore di stabilità. In Italia, invece, il carisma è solo personale. Tentiamo di dare quest’aura almeno al Quirinale, ma con qualche fatica”. Anche questo, probabilmente, è alla base dell’anomalia italiana. “In tutti o quasi tutti i paesi europei la fine della Guerra fredda ha costretto i sistemi politici a rimodellarsi. Ma è come se in Italia ci fosse una particolare refrattarietà, che rende questo processo sempre incompiuto”. La ragione dell’anomalia italiana è semplice, dice Gualtieri, ed è che in Italia “tutti i grandi partiti sono crollati tra il 1991 e il 1993”. Dopodiché, condizione per uscire dal limbo di questi anni è “un sistema come quello tedesco, fatto di pochi grandi partiti chiamati a confrontarsi in una competizione virtuosa sulla soluzione dei problemi, e non a contrapporsi su schemi ideologici, in un bipolarismo rissoso e confuso perché definito solo per opposizione, in un’eterna e stucchevole guerricciola tra anticomunisti e antiberlusconiani”.

sabato 27 ottobre 2007

L’Italia scopre che i salari sono bassi

da "Il Riformista" del 27 ottobre 2007

In una situazione di caos come quella che sta caratterizzando la vita politica (e non solo quella) del nostro paese, faremmo tutti bene a dare ascolto agli «allarmi» che arrivano dai pulpiti più autorevoli. La premessa serve per spiegare che su un monito del governatore della Banca d’Italia Mario Draghi si deve ragionare a fondo e non parlarne per un giorno e poi far finta di nulla. Ieri, intervenendo all’Università degli studi di Torino, Draghi si è soffermato sui salari. Evidenziando, parole sue, che i livelli retributivi dell’Italia «sono più bassi che negli altri principali paesi dell’Unione europea». Il governatore di Bankitalia è poi entrato nel dettaglio. Rilevando che «le differenze salariali rispetto agli altri paesi sono appena più contenute per i giovani, si ampliano per le classi centrali di età e tendono ad annullarsi per i lavoratori più anziani. Il differenziale è minore nelle occupazioni manuali e meno qualificate». Il dossier sulle retribuzioni è decisivo, soprattutto per i destini del governo. Se nell’ultimo anno non si fosse discusso delle tasche degli italiani, probabilmente (anzi, sicuramente) lo stato di precarietà dell’esecutivo e della maggioranza non sarebbero a questo livello. Anche per questo, l’intervento di ieri di Draghi ha avuto una vasta eco. Basti pensare che sul monito dell’inquilino di palazzo Koch si sono trovati d’accordo tanto il ministro rifondatore Paolo Ferrero («Notazione giusta») quanto il forzista Maurizio Sacconi («Parole sante»). Ci voleva l’autorevole monito del numero uno di via Nazionale perché la politica riuscisse a metabolizzare una verità incontrovertibile? In fondo, rimane un sospetto: le parole di Draghi alimenteranno i servizi di tg e giornali ma da lunedì tutto tornerà come prima. Anche perché, per lunedì, Ferrero e Sacconi sono attesi agli altri round dello scontro infinito tra governo e opposizione. Con i salari italiani che, complici l’incertezza e l’instabilità del quadro politico, rimarranno quelli che sono. E cioè tra i più bassi d’Europa.

giovedì 25 ottobre 2007

Prodi: «Esigo il rispetto degli impegni»

da "Corriere della Sera" del 25 ottobre 2007

Il premier agli alleati dopo le divisioni in Senato: «Le forze di maggioranza dicano se sostengono il governo»

ROMA - Un duro richiamo. In diretta televisiva. Dopo il giovedì terribile della maggioranza (quattro ko in Senato sul decreto fiscale collegato alla Finanziaria), Romano Prodi scende nella sala stampa di Palazzo Chigi e in un breve discorso trasmesso dal Tg3 lancia agli alleati quello che suona come un vero e proprio ultimatum: «Esigo il rispetto degli impegni».
IL BREVE DISCORSO - L'espressione del premier è quella dei momenti difficili. «Il nostro Governo - attacca Prodi - ha proposto all'approvazione del Parlamento una serie di importanti provvedimenti: il decreto fiscale, la legge finanziaria, le misure in favore dei più poveri, l'aumento delle pensioni più basse, le politiche per la casa, le pensioni e le politiche contro la precarietà. Contemporaneamente - ha proseguito Prodi - il Governo ha svolto una azione di stimolo verso il Parlamento per avviare la discussione sulle riforme istituzionali e sulla legge elettorale. Noi abbiamo fatto tutto questo per rilanciare l'economia e per portare un po' di equità nella società italiana». A questo punto arriva l'analisi di quanto avvenuto a Palazzo Madama: «La maggioranza che sostiene il Governo si è divisa al momento del voto non sull'impianto di
Romano Prodi (Emblema)queste grandi proposte, ma su fatti particolari, mettendo a rischio la realizzazione delle indispensabili riforme». Ed ecco l'affondo: «È giunto il momento che tutte le forze politiche della maggioranza dicano chiaramente se intendono continuare a sostenere il Governo o se vogliono invece far prevalere gli interessi di parte su quelli del Paese. Non pongo oggi il voto di fiducia, ma esigo che le forze politiche della maggioranza rispettino gli impegni che esse hanno assunto di fronte ai cittadini. Questo è quanto comunicherò nelle prossime ore a tutti i partiti della maggioranza». VELTRONI: SONO D'ACCORDO - Passano pochi minuti e le agenzie battono la prima reazione al discorso di Prodi: è quella di Walter Veltroni. «Concordo pienamente con il tono ed il contenuto dell'appello del presidente del Consiglio - afferma il leader del Partito Democratico -. Il Paese ha bisogno del massimo di solidità della maggioranza per rafforzare l'azione del governo. Questo è il primo impegno del Pd». A stretto giro di posta Prodi incassa anche il sostegno del segretario dei Ds, Piero Fassino, del leader della Margherita, Francesco Rutelli, e del ministro dell'Ambiente, Alfonso Pecoraro Scanio: «Condividiamo le parole di Prodi». Per Rifondazione Comunista, «il richiamo al rispetto degli impegni da parte della maggioranza deve valere per tutti». «E gli impegni - spiega il presidente dei deputati del Prc, Gennaro Migliore - sono l'applicazione della linea dettata dal programma». IDV E UDEUR - E l'Italia dei Valori, che in Senato ha votato con l'opposizione? Antonio di Pietro spiega che l'obiettivo dell'IdV è quello di «rafforzare il governo, non farlo cadere». Ma questo si può fare solo «realizzando impegni concreti» ed evitando la «politica dei veti» che la sinistra vuole imporre «spinta da furore ideologico». Il ministro delle Infrastrutture, in particolare, torna a spiegare le ragioni del voto dei senatori di Idv in Senato (salvo Franca Rame) contro l'emendamento che prevede la liquidazione della società "Ponte Stretto di Messina". «Noi - spiega - non abbiamo votato con il centrodestra, ma ci siamo espressi per ripristinare il testo originario del decreto, come era uscito dal Consiglio dei ministri. Per questa coerenza Prodi dovrebbe ringraziarci perché dà credibilità all'azione del governo». Anche quelli dell'Udeur (protagonisti nelle ultime settimane di aspre polemiche proprio con Di Pietro e l'IdV per il caso Mastella-De Magistris) affermano di non avere nulla da rimproverarsi: «Sottoscriviamo l’appello di Prodi - dice Mauro Fabris, capogruppo del Campanile alla Camer - e lo accogliamo in toto. Ma noi abbiamo dimostrato di essere leali, non abbiamo nulla da rimproverarci. L'appello non è rivolto all'Udeur». E Clemente Mastella aggiunge, sibillino: « «Prodi ha fatto bene a parlare. Si è rivolto a uno solo. Uno che non ha mai cambiato mestiere...».

Il loft, il red carpet, la convention

da "Il Foglio" del 25 ottobre 2007

Il Pd è un fatto nuovo? Ecco una domanda abbastanza significativa

Se due partiti che vengono da tradizioni mammuth come quella comunista e quella democristiana copulano per generare un figlio diverso dai genitori, un bebè non clonato che dovrà crescere e godere di vita propria in base a cromosomi nuovi; se vengono assistiti da tre milioni e mezzo di levatrici festanti, paganti e beneauguranti, in una specie di fecondazione a caldo; se scelgono un nome americano, Partito democratico, e discutono laicamente della possibilità di un partito senza tessere e congressi; se il tutore del piccolo non è un amministratore unico di ceppo togliattiano o dossettiano ma un profeta della bella politica de’ noantri, sindaco di Roma e americano a Roma, attualmente impegnatissimo nei riti del red carpet con Tom Cruise e Robert Redford; se la culla del partito è un loft, lo spazio simbolico più lontano possibile dai corridoi di Palazzo Sturzo e dagli antri cavernosi delle Botteghe Oscure; se l’assemblea costituente che terrà a battesimo statutario la creatura è composta di 2800 persone, giusto il numero di una convention a Las Vegas, dove la regia è tutto, i coriandoli sono tutto, la tv è quasi tutto, e il dibattito ideologico e politico quasi niente, perché prende altre vie e si esprime nel retroterra sociale e nelle istituzioni; se tutto questo è vero, se tutto questo si è dispiegato in effetti sotto i nostri occhi, sarà ben legittimo domandarsi se sia nato oppure no un nuovo fenomeno politico, paragonabile per analogia e opposizione, non per omologia, al fenomeno Berlusconi che da oltre un decennio ha sconvolto le regole della vecchia democrazia dei partiti nei modi che sappiamo? La risposta è affidata secondo noi a due elementi caratterizzanti, a due evidenze. La prima è che questo Partito democratico mantenga quel che ha promesso, una forma politica imperniata sulla cittadinanza e non sulla militanza, sulla società e non sul corpo politico strutturato alla stregua delle vecchie organizzazioni identitarie, con tessere e congressi, e sia quindi un partito che si limita (già un vaste programme) alla selezione della classe dirigente per la guida delle istituzioni, una macchina per elezioni (compresa la raccolta dei soldi e il raccordo di movimenti e aggregazioni politiche e sociali di riferimento). La seconda evidenza, che dimostrerebbe la nascita di qualcosa di nuovo, è che questo partito abbia una effettiva vocazione maggioritaria e non vada alle elezioni in una lista unionista comprendente il partito di Mastella, quello di Di Pietro, quello di Giordano, quello di Diliberto, quello di Pecoraro Scanio eccetera. Se il Partito democratico si rivelasse una macchina per congressi e una riedizione della coalizione unionista, vorrà dire che abbiamo scherzato, e che W. passeggerà su un black carpet, conterà tessere, e si sentirà molto solo e al freddo nel grande loft che si è appena apparecchiato.

Silvio: battuto sulla Rai,per Romano è finita

da "La Stampa" del 25 ottobre 2007


ROMAProbabilmente l’immagine offerta dal ministro Clemente Mastella sul governo, quella della Beirut dei bombardamenti e delle bombe, è la più azzeccata. Ogni giorno c’è un episodio che dimostra quanto l’attuale quadro politico sia inadeguato e quanto Romano Prodi inerme. Ieri mattina Silvio Berlusconi mettendo in atto la sua strategia del «logoramento» prima del colpo finale, ha dato il via libera alla mozione di sfiducia al Cda Rai. «L’importante - è l’indicazione che ha dato al fido Paolo Bonaiuti - è dimostrare che questo governo è in agonia. E la “sfiducia” al Cda della Rai, aldilà delle conseguenze, è un altro elemento, un altro tassello di questa strategia». Nelle stesse ore Romano Prodi ha tentato in tutti i modi di convincere Verdi, Rosa nel pugno, dipietristi e mastelliani a ritirare le mozioni di sfiducia al vertice Rai sulle quali ci sarebbe stata la convergenza dei voti del centro-destra. Il Professore ha usato, ovviamente, l’argomento opposto del Cavaliere. «In questa vicenda - ha spiegato - non è in gioco il Cda Rai, quanto l’immagine del governo. Se non le ritirate fate un piacere a Berlusconi». Un tentativo vano. O meglio, alla fine solo i Verdi hanno assecondato il premier. Gli altri sono rimasti fermi sulle loro posizioni. Così l’immagine della maggioranza che abbandona la commissione Rai per non essere battuta è diventata parte dell’album di fotografie sulla fine del governo del Professore. «E’ l’anticipo - è stato il commento del veltroniano Giulietti - di quello che avverrà in Parlamento». Appunto, Romano Prodi dà l’idea del premier asserragliato nell’ultima casamatta di Beirut. Al Senato la maggioranza traballa e si salva solo grazie al voto di Giulio Andreotti. Il Consiglio dei ministri non riesce a produrre uno straccio di provvedimento sulla sicurezza. Ci mancava solo la polemica tra il premier e il presidente della Camera, Fausto Bertinotti, colpevole di aver ipotizzato un altro governo per fare la riforma elettorale. Quindi, di tutto e di più. Da una parte c’è un Professore che annaspa. Dall’altra c’è un Cavaliere che fa di tutto per mostrarsi sicuro. A palazzo Grazioli l’ex-presidente della Regione Puglia, Raffaele Fitto, si è trovato di fronte un personaggio arciconvinto. «Se metti in dubbio che si voterà a primavera - racconta - Berlusconi si incazza. Ha sulla scrivania uno schema di nomi e accanto l’elenco di tutti i senatori. Per lui dai sei agli otto sono già pronti a buttar giù Prodi. Ci mette la mano sul fuoco. Un’altra decina, invece, li considera possibili. C’è anche un ds. A sentire la Biancofiore, ad esempio, le trattative con quelli della Svp già sono molto avanti. Lo “showdown” non è previsto nelle votazioni di questi giorni al Senato. “Sarebbe del tutto inutile - mi ha spiegato il capo - mandare sotto il governo adesso perché non ci sarebbe la crisi, ma si limiterebbero a presentare un altro decreto”. Le danze si apriranno, invece, sulle votazioni sulle pregiudiziali di costituzionalità sulla Finanziaria e andranno avanti per buona parte del mese di novembre. E se c’è la crisi ci saranno pure le elezioni. Chi manda giù Prodi con il suo voto e si rifiuta di aprire la strada al voto rischia, infatti, di diventare un senza casa. Non avrebbe più asilo né nel centro-sinistra, né da noi». Se il piano del Cavaliere è fin troppo chiaro, quello del Professore è alquanto confuso. Naturalmente nelle prossime settimane Prodi continuerà a drammatizzare, ad additare i senatori della maggioranza che potrebbero mandarlo sotto come dei Giuda. «Questo governo - continua a ripetere - può cadere solo per corruzione». Contemporaneamente pensa di rabbonire l’aula di Palazzo Madama aprendo i cordoni della borsa sulla Finanziaria. «Dopo tanti anni - prevede Giulio Tremonti - è la prima finanziaria in stile Pomicino. Invece di ridurre il deficit lo allarga, siamo passati dall’1,8% al 2,4%». Infine c’è l’ultima mossa, quella caldeggiata dalla trimurti istituzionale Napolitano-Marini-Bertinotti. L’apertura a una riforma elettorale sul modello tedesco per lanciare un ponte verso l’Udc e la Lega. Un’ipotesi ad alto rischio per Prodi, visto che gira che ti rigira la sua «testa» potrebbe finire nella trattativa. Inoltre un’«operazione» del genere, con o senza Prodi, per partire ha bisogno dell’ok dell’Udc. Può permettersi un’operazione del genere Casini? Certo da una parte ha la possibilità di far saltare il «bipolarismo» e mettere in piedi un terzo polo. Dall’altra corre il rischio di arrivare indebolito all’appuntamento tanto agognato: ora i sondaggi danno l’Udc dal 4,2 al 3,5%, una conseguenza del dialogo con il centro-sinistra e con un governo impopolare. Un’alleanza più o meno camuffata degli ex-dc con il centro-sinistra per un governo che apra la strada al modello tedesco, gli costerebbe nuove perdite. C’è il rischio che Casini arrivi all’operazione terzo Polo con una legge adatta ma senza voti. Un bel rischio. Forse troppo alto se si pensa che andando al voto ora l’Udc avrebbe buone possibilità di tornare al governo e magari il suo leader potrebbe cimentarsi nel ruolo di ministro degli Esteri. In quella posizione potrebbe recuperare forze, attrarre nella sua orbita i cattolici dell’Ulivo delusi dal Pd e magari rinviare l’appuntamento con il tedesco al «dopo-voto». «Noi - spiega sicuro Luciano Ciocchetti, che conosce la pancia dell’Udc - non entreremo mai in un governo istituzionale senza Berlusconi». E’ quello su cui punta il Cavaliere che ieri ha inviato il suo ambasciatore per antonomasia, Gianni Letta, da Casini: «Capisco Napolitano - osservava ieri Berlusconi - ma in Italia un governo che non abbia i numeri non c’è mai stato». Insomma, rispetto a quello del Cavaliere i piani degli suoi avversari appaiono fin troppi confusi: non si sa se contemplino la sopravvivenza di Prodi, oppure no; pretendono che Veltroni rinunci al bipolarismo ma non gli offrono un quadro di alleanze certo. Di fatto, sono figli più che altro della paura dei vari Marini, D’Alema, Fassino e Rutelli di perdere non solo il governo, ma anche la loro influenza nel Pd. «Un gruppo dirigente - è la chiosa del capogruppo verde Angelo Bonelli - che si è rivelato inadeguato. Che ne ha sbagliate tante. Troppe».
AUGUSTO MINZOLINI

Ponte, la maggioranza va sotto al Senato

da "Corriere delle Sera" del 25 ottobre 2007


No dell'aula all'emendamento sulla soppressione della società Stretto di Messina. L'Idv vota con l'opposizione




ROMA - L'Aula del Senato ha respinto l'emendamento della commissione Bilancio che prevede la liquidazione della società Ponte Stretto di Messina Spa. L'emendamento aveva il parere favorevole del relatore di maggioranza Natale Ripamonti mentre il governo si era rimesso all'Aula. Italia dei Valori ha votato contro l'emendamento insieme alla Cdl.

BATTUTA - In Senato la maggioranza è stata battuta dal voto contrario dei quattro senatori dell'Italia dei Valori e di Roberto Barbieri (Costituente Socialista) che avevano annunciato il voto contrario. Il risultato infatti ha registrato 145 sì, 160 no e 6 astenuti. Questi 5 voti della maggioranza si sono uniti a quelli della Cdl. Tecnicamente il governo non è stato battuto perché si era rimesso alla votazione dell'Aula dopo le difficoltà incontrate in commissione Bilancio: tra mercoledì e giovedì mattina l'esecutivo aveva provato a ritirare l'emendamento in commissione, ma l'Idv aveva premuto - insieme alla Cdl - per sottoporre la norma alla votazione del Senato. Il risultato della votazione è che la società che deve gestire la progettazione dell'opera rimane attiva.

MAGGIORANZA IN ORDINE SPARSO - A mandare la maggioranza a fondo anche i voti di astensione di Lamberto Dini, del diniano Natale D'Amico e del senatore a vita Emilio Colombo: si ricorda che al Senato l'astensione equivale al voto contrario. Il ministro della Giustizia, Clemente Mastella, non ha partecipato alla votazione sull'emendamento: Mastella era presente stamani in aula, ma dal tabulato delle votazioni su questo emendamento, su cui il centrosinistra si è diviso, figura tra i non partecipanti, insieme al presidente della commissione Affari costituzionali, Enzo Bianco. Al momento del voto erano assenti anche i senatori a vita Giulio Andreotti, Francesco Cossiga, Carlo Azeglio Ciampi, Oscar Luigi Scalfaro e Sergio Pininfarina. Assente anche il senatore indipendente Luigi Pallaro. Rita Levi Montalcini ha votato a favore dell'emendamento presentato dalla commissione Bilancio.


BOCCIATO EMENDAMENTO CDL SU DERIVATI - L'aula del Senato ha bocciato anche l'emendamento al dl collegato alla Finanziaria, presentato dalla Cdl (prima firmataria Cinzia Bonfrisco), per limitare i rischi della finanza derivata agli enti locali. I voti contrari sono stati 154, i favorevoli 152, un astenuto.

martedì 23 ottobre 2007

Emeriti benefici: 30 uomini per ogni ex presidente

(tratto da l'articolo di Primo Di Nicola in edicola questa settimana su L'espresso)

Si parla di tagli e volano le polemiche. Fino a investire il Colle più alto della Repubblica, quello del Quirinale. Francesco Cossiga non ha peli sulla lingua: «Non metterò più piede là dentro nemmeno quando quelli lì mi convocheranno per le consultazioni di rito in caso di crisi di governo». Cossiga tuona, ma non è il solo a sentirsi colpito. Anche Oscar Luigi Scalfaro e Carlo Azeglio Ciampi, gli altri due ex presidenti della Repubblica, celano a fatica il loro disappunto e in privato si lamentano delle ultime iniziative del Colle.
Nella corsa ai risparmi che dovrebbe portare a un dimagrimento dei costi del Quirinale (217 milioni nel 2006), è stato preso di mira il trattamento concesso agli ex capi dello Stato. Una voce di spesa che per ragioni di riservatezza la presidenza della Repubblica preferisce non divulgare: a “L’espresso” è stato opposto un cortese rifiuto.
Cosa c’è in ballo esattamente? A ciascuno dei presidenti cessati dalla carica spetta una lunga serie di servizi a spese del Quirinale: un dipendente della presidenza della Repubblica, con funzioni di segretario, distaccato (in posizione di “comando”) nel suo staff; due dipendenti, con funzioni di guardarobiere e di addetto alla persona, distaccati presso l’abitazione privata. Ancora: un telefono cellulare o satellitare, un fax, una linea urbana riservata, un collegamento “punto punto” con il centralino della presidenza, uno con la batteria del Viminale e una connessione diretta con la centrale dei servizi di sicurezza del Quirinale. Con una particolarità: la duplicazione di questi impianti, uno installato presso lo studio e l’altro presso l’abitazione. E non è finita: agli ex spettano anche collegamenti (sempre duplicati) telematici per la consultazione delle agenzie di stampa e di banche dati, e televisivi in bassa frequenza. Infine, c’è l’auto, «dotata di telefono veicolare» e con autista, spettante anche alla vedova dell’ex presidente o al primo dei suoi figli.
A questa dote a carico del Quirinale gli ex presidenti sommano (oltre all’uso di navi, aerei e treni a cura della presidenza del Consiglio) pure le garanzie per i senatori a vita previste da Palazzo Madama: un ufficio (tra i 150 e i 200 metri quadrati) e segreterie particolari con un capufficio, tre funzionari, due addetti alle mansioni esecutive, altri due addetti alle mansioni ausiliari più, a scelta, un consigliere militare o diplomatico. Senza contare le scorte: contando le postazione fisse davanti alle case, ci sono una ventina di poliziotti e carabinieri. Insomma: oltre 30 persone al servizio di ciascun ex presidente.

Visco: «Dall'evasione mancati introiti per 100 miliardi, 23 recuperati»

da "Il sole 24ore" del 23 ottobre 2007
di Nicoletta Cottone

L'evasione ha ancora dimensioni eclatanti, fino a 4 volte superiori a quelli dei paesi europei più virtuosi. In termini di gettito si tratta di almeno 7 punti percentuali di Pil di mancate entrate, che corrispondono a una perdita di gettito superiore a 100 miliardi di euro. Si perde, dunque, più del 15% delle entrate oggi raccolte. Lo segnala il viceministro Vincenzo Visco nella relazione inviata in Parlamento sui risultati della lotta all'evasione. Dati ancora allarmanti: il valore aggiunto dell'economia sommersa è quasi il 18% del Pil e si stima che l'evasione fiscale sia ancora maggiore, pari al 21% della base imponibile Irap e al 33% della base imponibile Iva.

La lotta all'evasione del Governo sta dando risultati: 23 miliardi di euro di maggiori entrate non pagate recuperate fra il 2006 e il 2007, legate al miglioramento della tax compliance dei cittadini e all'aumento del 20% delle entrate da ruoli e riscossioni.
Sul fronte dell'evasione Irap, in agricoltura si evade circa il 39% del valore aggiunto, nel terziario e nei servizi il 29%, nell'industria il 9 per cento. I valori più elevati si registrano nel settore delle costruzioni e dei servizi immobiliari dove si stima che l'evasione superi il 50 per cento. In base al peso di ciascun settore sull'economia, però, più dell'80% è evaso nel settore dei servizi, in particolare sul fronte dei servizi alle imprese e alle famiglie e del commercio al dettaglio. Minime le differenze fra Nord e Sud.

Sul fronte delle imprese l'evasione coinvolge le grandi e le piccole, anche se appare più diffusa fra le piccole: in termini assoluti, infatti, l'evasione è più forte nelle grandi imprese, ma le piccole e medie occultano al Fisco quasi il 55% in più della base imponibile di quanto facciano le grandi. Il primo segnale del Governo, sottolinea Visco, è stata la fine della stagione dei condoni e delle sanatorie fiscali. Poi una serie di provvedimenti a supporto delle attività di controllo, rafforzando l'effetto deterrenza dell'attività di accertamento. Centrale la riorganizzazione dell'anagrafe tributaria intorno al singolo contribuente e non alle singole imposte, affiancata dalla crescita dei controlli e a nuove strategie d'azione nelle verifiche. Alcune disposizioni sono state mirate a chiudere i margini di manovra degli evasori, a partire da settori ad alta evasione, come quello dei servizi immobiliari.

SOCIETÀ. STA CRESCENDO IN TUTTO IL MONDO IL BISOGNO DI VIVERE CON MENO COMPLICAZIONI VIVA LA VITA SEMPLICE

da "Famiglia Cristiana" n.43 del 2007

Troppa fretta, troppe ansie, troppa tecnologia: la nostra esistenza è diventata una folle corsa. Partita negli Usa con il nome di Slow Living, "Vivere con lentezza", la tendenza a rallentare è approdata anche da noi. Per fortuna.

Forse i figli del baby-boom stanno invecchiando, forse hanno meno energie per adattarsi a un mondo che è cambiato in modo diverso da come volevano cambiarlo loro. O forse quanti l’hanno cambiato davvero – informatici e pubblicitari, finanzieri e "globalizzatori" – sono travolti dal moltiplicarsi delle loro stesse creature e si temono apprendisti stregoni.

Oppure è un riaffacciarsi del buonsenso comune, una rivolta di uomini e donne medi stanchi di farsi mangiare tempo ed energie da complicatissime diavolerie tecnologiche, vite piene di impegni, case che straripano di cose.

Sta di fatto che sempre più spesso si sente aleggiare nell’aria un desiderio di semplicità, di ritmi più umani; una voglia di fermare un mondo che ci bombarda di stimoli per scendere a cercare un’aria più semplice. Intendiamoci: non lo dicono solo filosofi e poeti, abituati a precorrere i tempi e a venire accusati di vendere aria fritta. Lo fanno uomini dell’economia rampante, esponenti della categoria che ha inventato l’orrendo verbo "ottimizzare", cioè comprimere tempi e persone per ottenere il massimo del rendimento.

A maggio l’investitore di New York Fred Wilson ha scritto sul suo blog: «Sono rimasto così indietro nel rispondere alle e-mail che dichiaro bancarotta». Un altro americano, l’amministratore delegato Jeff Nolan, gli ha fatto eco: «Tornerò a usare la voce come mezzo principale per interagire con le persone». E un professore di informatica di Stanford, Donald Knuth, ha chiosato: «Sono stato un uomo felice dal 1° gennaio 1990, quando non ho più avuto un indirizzo e-mail».

Altro esempio, cambiando settore? Dopo le recenti perdite nelle Borse conseguenti alla crisi dei mutui subprime, i maggiori guru internazionali degli investimenti sono stati concordi nel consigliare, tra l’altro, di mettere i propri soldi nei prodotti finanziari più semplici ed economici, perché più trasparenti e meno a rischio.

Se poi si vuole passare al tempo libero, l’area nella quale i soldi non si fanno ma si spendono, è sempre dagli Stati Uniti che si è affacciata la tendenza allo Slow living, il vivere con lentezza. La quale ha un corrispettivo codificato anche in Italia, l’associazione "Vivere con lentezza", creata due anni fa dall’indaffaratissimo manager di Pavia Bruno Contigiani. Il quale continua a lavorare, ma meno di corsa: «Ero insoddisfatto di quel modo di vivere, senza gustarmi niente, sempre con la paura di non avere tempo per fare le cose al meglio. Insieme a un gruppo di amici, ho notato che il malessere per i ritmi insostenibili era molto diffuso, e c’era già gente che faceva scelte per migliorarsi la vita. Però non in modo egoistico: si vuole stare bene non da soli, ma con gli altri».

Multe a chi cammina troppo veloce

Gli iscritti sono un centinaio, i referenti un migliaio e i contatti al sito davvero tanti: le iniziative, a volte serie e a volte un po’ burlone, hanno il pregio della fantasia e lo scopo di far uscire chi aderisce dalla solitudine che sembra caratterizzare i nostri tempi. Un mese fa, ad esempio, nei bar perlopiù periferici di molte città hanno organizzato letture di pagine di libri con chiacchierate annesse. Nel febbraio di quest’anno hanno indetto la prima "Giornata della lentezza", durante la quale distribuivano finte multe ai camminatori troppo veloci del centro di Milano.

A breve proporranno una "tre giorni" della lentezza a New York, dove sono già stati ricevuti con simpatia dalla segreteria del sindaco Bloomberg, che è ben conscio del malessere dei suoi cittadini e trova interessanti le iniziative esposte da Contigiani.

Il primo a venire iscritto d’ufficio all’associazione, come socio onorario, è stato il sociologo Domenico De Masi, il cui libro L’ozio creativo (Rizzoli) ha avuto una vasta eco, fino a diventare una sorta di vademecum spesso citato da chi continua a considerare possibile l’umanesimo nell’età della tecnica.

Il professor De Masi spiega così il bisogno crescente di ridurre ritmi e stimoli: «Con il passare degli anni si diventa più saggi, e con l’aumentare della saggezza ci si rende conto che si vive una volta sola. Tanto vale, quindi, vivere nel modo più sereno possibile, e la serenità dipende prima di tutto dal ridurre il nostro disorientamento». Con un distinguo, però: «La vita è complessa nella sua realtà, e ogni semplificazione è una falsificazione. Io credo che dobbiamo imparare a gestire strumenti complessi, per gestire una vita complessa».

L’osservazione, allora, vale anche per le complicate tecnologie che si succedono a ritmo continuo? «Per gestire la tecnologia non ci vuole la tecnologia», obietta De Masi, «ma la saggezza, che può derivare da studi filosofici o dall’esperienza intelligente. La saggezza aiuta a distinguere quello che è fine da quello che è mezzo, trattando i mezzi come fatti puramente strumentali e i fini come fatti principali». Insomma, la semplicità si dimostra piuttosto complicata.

Non per nulla è la principale passione intellettuale di una mente raffinata come quella del quarantenne John Maeda, docente al prestigioso Massachusetts Institute of Technology (Mit). Dopo aver dato vita nel 2004 al Mit Simplicity Consortium, Maeda ha pubblicato l’anno scorso un libro intitolato Le leggi della semplicità (Bruno Mondadori), nel quale dichiara: «Perseguire la semplicità nell’era digitale è diventata la mia missione, il focus delle mie attuali ricerche qui al Mit».

Il volumetto, agile ma tutt’altro che banale, contiene riflessioni ed esempi riferiti soprattutto alle tecnologie, di cui Maeda è esperto e docente, e per l’autore rappresenta solo una tappa in una ricerca destinata a protrarsi.

Il mondo? Cade a pezzi da sempre

Forse è vero che ai nostri tempi la semplicità come traguardo personale può essere un punto d’approdo, non di partenza. Ma un tasso minore di confusione nell’ambiente saturo di input che ci circonda è un obiettivo che dovrebbe far pensare chi contribuisce a crearli.

John Maeda è tra costoro, e difatti ci pensa. Anche riportando un delizioso aneddoto della sua vita. «Quando», scrive, «pieno di zelo giovanile, ho iniziato a considerare il problema della semplicità, sentivo che la complessità stava distruggendo il mondo e che era necessario porle un freno. Durante una conferenza di cui sarei poi stato relatore, un artista di 73 anni mi prese da una parte e mi disse: "Il mondo cade a pezzi da sempre, quindi rilassati"».

Rosanna Biffi

California, 500mila sfollati e mille case distrutte

da "Il Messaggero" del 23/10/2007

Contro gli incendi scende in campo l'esercito
Il fuoco divora una casa nella contea di San Bernardino

LOS ANGELES (23 ottobre) - Mezzo milione di sfollati, tra cui star di Hollywood e celebrità varie, mille case distrutte, divorato dalle fiamme un territorio pari alla metà della provincia di Milano. Il bilancio degli incendi che da domenica stanno devastando la California si aggrava, mentre anche l'esercito è in azione per fronteggiare l'emergenza. Nonostante le cifre altissime, al momento si contano soltanto due vittime, a Santa Clarita e a Rancho Bernardo. I feriti sono numerosi, soprattutto fra i vigili del fuoco. Nel sud dello Stato sono migliaia i pompieri che lottano le fiamme. Oggi il presidente George W.Bush ha autorizzato la Fema, l'Agenzia federale per la gestione delle emergenze, a coordinare i soccorsi, che saranno finanziati al 75% da fondi federali.

Seimila pompieri impegnati. In uno scenario apocalittico almeno 17 roghi fuori controllo, alimentati dai venti caldi del deserto che soffiano oltre i 100 chilometri orari e aiutati da temperature sopra i 30 gradi, stanno ancora devastando il Golden state. Il governatore della California, Arnold Schwarzenegger, ha proclamato lo stato di emergenza in sette contee, ha schierato 1.500 uomini della Guardia nazionale e ha ottenuto dal Pentagono l'invio di aerei speciali per domare le fiamme. Seimila vigili del fuoco sono impegnati 24 ore su 24.

A San Diego, la terza città del Golden State, circa 250.000 persone hanno dovuto abbandonare le proprie case perché minacciate dalle fiamme. Circa 10.000 persone hanno trovato un riparo di fortuna nello stadio di football della città. È stato anche deciso di evacuare uno degli ospedali della contea di San Diego, quello di Pomerado, minacciato dal fuoco.

A Malibu, la città dei ricchi e famosi a nord di Los Angeles, dove lunedì sono bruciati 970 ettari e sono andati distrutti una chiesa e un castello in stile neogotico, attrattiva del luogo, la situazione sta oggi migliorando, visto e l'incendio è ora parzialmente sotto controllo.

La costa californiana devastata dalle fiamme ospita le ville di star come Mel Gibson, Sting, Barbra Streisand, Richard Gere, Jenifer Aniston, Pierce Brosnan, Dick Van Dyke, Olivia Newton-John, James Cameron e tante altre celebrità miliardarie.

G8, la procura chiede 225 anni per 25 no global

da "Repubblica" del 23/10/2007

GENOVA Duecentoventicinque anni di prigione ai venticinque no global che parteciparono alle distruzioni e ai saccheggi di Genova durante i G8 di sei anni fa. La Procura del capoluogo ligure usa la mano pesante: è una richiesta che evoca le requisitorie dei maxi processi per mafia quella pronunciata nelle ultime otto udienze dai due pm genovesi Andrea Canciani e Anna Canepa. Da 6 a 16 anni di reclusione hanno chiesto i magistrati per ognuno degli inquisiti: "Dobbiamo avere il coraggio di chiamare quei fatti con il loro nome: devastazione e saccheggio", ha detto il pm Canciani. "Al tribunale chiediamo quindi pene severe".

Per Massimiliano Monai, l'uomo che poco prima della morte di Carlo Giuliani in piazza Alimonda fu ripreso vicino al Defender dei carabinieri con una trave in mano, è stata chiesta una condanna a nove anni di carcere. La pena più pesante, 16 anni, la procura l'ha richiesta per Marina Cugnaschi, 41 anni di Lecco, "l'eroina" anarchica del centro sociale milanese Villa Okkupata, ripresa in un video mentre lancia una bottiglia incendiaria contro il portone di ingresso del carcere di Marassi.

"Queste richieste di condanna - ha commentato Haidi Giuliani, senatrice di Rifondazione e madre di Carlo Giuliani, morto quel tragico 20 luglio 2001, il giorno degli scontri per cui sono indagati i 25 no global - non tengono minimamente conto del contesto in cui sono avvenuti i fatti". Quei 25, la senatrice, li definisce "capri espiatori": "Se chi si difende da violenze ingiustificate, o ruba un prosciutto, merita 225 anni di carcere, quantise ne dovrebbero pretendere per chi ha rotto teste, denti, costole, per chi ha torturato, per chi ha ucciso? Continuo a ribadire la mia piena solidarietà ai 25 accusati", ha concluso Haidi Giuliani.
La sentenza per il processo dei no global è prevista prima di Natale. Entro la prossima estate è atteso invece il pronunciamento del tribunale sulle violenze e gli arresti ingiustificati ordinati dai poliziotti: sui 29 dirigenti e poliziotti della Celere inquisiti per il "massacro nella scuola Diaz", come l'ha definito il pm Canciani e sui 45 agenti sospettati di soprusi e violenze sui 300 ragazzi rinchiusi nella caserma di Bolzaneto.

Osama, nuovo appello alla guerra santa

da "Corriere della Sera" del 23/10/2007

«È dovere dei musulmani in Sudan e in Arabia portare avanti la jihad contro i crociati invasori»
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DUBAI - Ancora un appello di Osama Bin Laden. In un messaggio audio diffuso online il numero uno di al Qaeda chiama alla «guerra santa» contro le forze straniere in Sudan e nella Penisola araba. «È dovere dei musulmani in Sudan e... nella penisola araba portare avanti la jihad contro i crociati invasori» dice la voce che sembra quella del leader di al Qaeda.

In giornata l'intelligence Usa ha fatto sapere di ritenere autentica la registrazione audio di Osama bin Laden diffusa ieri dai media. La portavoce della Casa Bianca Dana Perino ha detto che «gli esperti dell'intelligence ritengono che il nastro sia autentico e che si tratti della voce di Osama bin Laden». Nel nastro il leader di Al Qaida esorta gli insorti in Iraq ad agire in stretta coordinazione con i membri della sua organizzazione terroristica.