martedì 23 ottobre 2007

SOCIETÀ. STA CRESCENDO IN TUTTO IL MONDO IL BISOGNO DI VIVERE CON MENO COMPLICAZIONI VIVA LA VITA SEMPLICE

da "Famiglia Cristiana" n.43 del 2007

Troppa fretta, troppe ansie, troppa tecnologia: la nostra esistenza è diventata una folle corsa. Partita negli Usa con il nome di Slow Living, "Vivere con lentezza", la tendenza a rallentare è approdata anche da noi. Per fortuna.

Forse i figli del baby-boom stanno invecchiando, forse hanno meno energie per adattarsi a un mondo che è cambiato in modo diverso da come volevano cambiarlo loro. O forse quanti l’hanno cambiato davvero – informatici e pubblicitari, finanzieri e "globalizzatori" – sono travolti dal moltiplicarsi delle loro stesse creature e si temono apprendisti stregoni.

Oppure è un riaffacciarsi del buonsenso comune, una rivolta di uomini e donne medi stanchi di farsi mangiare tempo ed energie da complicatissime diavolerie tecnologiche, vite piene di impegni, case che straripano di cose.

Sta di fatto che sempre più spesso si sente aleggiare nell’aria un desiderio di semplicità, di ritmi più umani; una voglia di fermare un mondo che ci bombarda di stimoli per scendere a cercare un’aria più semplice. Intendiamoci: non lo dicono solo filosofi e poeti, abituati a precorrere i tempi e a venire accusati di vendere aria fritta. Lo fanno uomini dell’economia rampante, esponenti della categoria che ha inventato l’orrendo verbo "ottimizzare", cioè comprimere tempi e persone per ottenere il massimo del rendimento.

A maggio l’investitore di New York Fred Wilson ha scritto sul suo blog: «Sono rimasto così indietro nel rispondere alle e-mail che dichiaro bancarotta». Un altro americano, l’amministratore delegato Jeff Nolan, gli ha fatto eco: «Tornerò a usare la voce come mezzo principale per interagire con le persone». E un professore di informatica di Stanford, Donald Knuth, ha chiosato: «Sono stato un uomo felice dal 1° gennaio 1990, quando non ho più avuto un indirizzo e-mail».

Altro esempio, cambiando settore? Dopo le recenti perdite nelle Borse conseguenti alla crisi dei mutui subprime, i maggiori guru internazionali degli investimenti sono stati concordi nel consigliare, tra l’altro, di mettere i propri soldi nei prodotti finanziari più semplici ed economici, perché più trasparenti e meno a rischio.

Se poi si vuole passare al tempo libero, l’area nella quale i soldi non si fanno ma si spendono, è sempre dagli Stati Uniti che si è affacciata la tendenza allo Slow living, il vivere con lentezza. La quale ha un corrispettivo codificato anche in Italia, l’associazione "Vivere con lentezza", creata due anni fa dall’indaffaratissimo manager di Pavia Bruno Contigiani. Il quale continua a lavorare, ma meno di corsa: «Ero insoddisfatto di quel modo di vivere, senza gustarmi niente, sempre con la paura di non avere tempo per fare le cose al meglio. Insieme a un gruppo di amici, ho notato che il malessere per i ritmi insostenibili era molto diffuso, e c’era già gente che faceva scelte per migliorarsi la vita. Però non in modo egoistico: si vuole stare bene non da soli, ma con gli altri».

Multe a chi cammina troppo veloce

Gli iscritti sono un centinaio, i referenti un migliaio e i contatti al sito davvero tanti: le iniziative, a volte serie e a volte un po’ burlone, hanno il pregio della fantasia e lo scopo di far uscire chi aderisce dalla solitudine che sembra caratterizzare i nostri tempi. Un mese fa, ad esempio, nei bar perlopiù periferici di molte città hanno organizzato letture di pagine di libri con chiacchierate annesse. Nel febbraio di quest’anno hanno indetto la prima "Giornata della lentezza", durante la quale distribuivano finte multe ai camminatori troppo veloci del centro di Milano.

A breve proporranno una "tre giorni" della lentezza a New York, dove sono già stati ricevuti con simpatia dalla segreteria del sindaco Bloomberg, che è ben conscio del malessere dei suoi cittadini e trova interessanti le iniziative esposte da Contigiani.

Il primo a venire iscritto d’ufficio all’associazione, come socio onorario, è stato il sociologo Domenico De Masi, il cui libro L’ozio creativo (Rizzoli) ha avuto una vasta eco, fino a diventare una sorta di vademecum spesso citato da chi continua a considerare possibile l’umanesimo nell’età della tecnica.

Il professor De Masi spiega così il bisogno crescente di ridurre ritmi e stimoli: «Con il passare degli anni si diventa più saggi, e con l’aumentare della saggezza ci si rende conto che si vive una volta sola. Tanto vale, quindi, vivere nel modo più sereno possibile, e la serenità dipende prima di tutto dal ridurre il nostro disorientamento». Con un distinguo, però: «La vita è complessa nella sua realtà, e ogni semplificazione è una falsificazione. Io credo che dobbiamo imparare a gestire strumenti complessi, per gestire una vita complessa».

L’osservazione, allora, vale anche per le complicate tecnologie che si succedono a ritmo continuo? «Per gestire la tecnologia non ci vuole la tecnologia», obietta De Masi, «ma la saggezza, che può derivare da studi filosofici o dall’esperienza intelligente. La saggezza aiuta a distinguere quello che è fine da quello che è mezzo, trattando i mezzi come fatti puramente strumentali e i fini come fatti principali». Insomma, la semplicità si dimostra piuttosto complicata.

Non per nulla è la principale passione intellettuale di una mente raffinata come quella del quarantenne John Maeda, docente al prestigioso Massachusetts Institute of Technology (Mit). Dopo aver dato vita nel 2004 al Mit Simplicity Consortium, Maeda ha pubblicato l’anno scorso un libro intitolato Le leggi della semplicità (Bruno Mondadori), nel quale dichiara: «Perseguire la semplicità nell’era digitale è diventata la mia missione, il focus delle mie attuali ricerche qui al Mit».

Il volumetto, agile ma tutt’altro che banale, contiene riflessioni ed esempi riferiti soprattutto alle tecnologie, di cui Maeda è esperto e docente, e per l’autore rappresenta solo una tappa in una ricerca destinata a protrarsi.

Il mondo? Cade a pezzi da sempre

Forse è vero che ai nostri tempi la semplicità come traguardo personale può essere un punto d’approdo, non di partenza. Ma un tasso minore di confusione nell’ambiente saturo di input che ci circonda è un obiettivo che dovrebbe far pensare chi contribuisce a crearli.

John Maeda è tra costoro, e difatti ci pensa. Anche riportando un delizioso aneddoto della sua vita. «Quando», scrive, «pieno di zelo giovanile, ho iniziato a considerare il problema della semplicità, sentivo che la complessità stava distruggendo il mondo e che era necessario porle un freno. Durante una conferenza di cui sarei poi stato relatore, un artista di 73 anni mi prese da una parte e mi disse: "Il mondo cade a pezzi da sempre, quindi rilassati"».

Rosanna Biffi

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